di GIUSEPPE CAPORALE e MEO PONTE
L'AQUILA - Per il procuratore Alfredo Rossini l'indagine sul terremoto abruzzese sarà "la madre di tutte le inchieste". "Sono oltre ventimila gli edifici da controllare ma procederemo spediti", assicura. E nel giorno in cui periti e carabinieri analizzano i primi mille immobili - stimando solo il 30 per cento ancora agibile - si scopre che l'ospedale San Salvatore (quello dove si erano rivolti oltre mille feriti il giorno del terremoto e poche ore dopo evacuato a causa di cedimenti strutturali) è abusivo. Non poteva essere aperto. Non dispone del certificato di agibilità (l'atto che attesta la sicurezza, l'igiene e la salubrità dell'edificio).
Non l'ha mai avuto. Non solo, l'ospedale - inaugurato nove anni fa - non risulta nemmeno nelle mappe catastali. L'immobile per lo Stato, dunque, non esiste. E' tutto scritto in una relazione che il direttore generale della Asl aquilana, Roberto Marzetti, ha inviato alla Regione e al ministero della Salute. Una relazione nella quale Marzetti ricostruisce la storia del nosocomio, dal 1972 (quando partì il cantiere) ad oggi. Una costruzione travagliata al centro di dibattiti parlamentari, esposti e polemiche.
Fino al giorno di una delle ultime inaugurazioni (ce ne furono cinque, una per ogni lotto) quando, nel 2000, l'allora direttore generale Paolo Menduni decise di aprire lo stesso. Il progetto dell'ospedale porta la data 1967. Spesa inizialmente prevista 11.395 milioni di lire. Alla fine è costata duecento miliardi. I finanziamenti? Cassa del Mezzogiorno, Regione Abruzzo, Ministero della Salute, ministero dell'Università e della Ricerca.
La parte che, con il terremoto, è crollata (reparti di degenza, laboratori e sale operatorie) fu la prima ad essere inaugurata. E proprio Menduni - il manager pubblico che aprì l'ospedale senza richiedere l'agibilità - venti giorni fa è stato nominato dal presidente della Regione Gianni Chiodi (eletto a dicembre con la vittoria del centrodestra) come consulente per l'Agenzia Regionale Sanitaria.
Ma non è tutto. La Procura dell'Aquila, da diversi mesi, ha avviato indagini sull'ospedale, riguardo alcuni affidamenti diretti per lavori di manutenzione (con una spesa di sedici milioni di euro di fondi pubblici). Lavori affidati senza gara per "l'urgenza di dover procedere alla messa in sicurezza della struttura". Urgenza che non termina mai, specie se non arriva il certificato di agibilità.
L'ospedale è proprio uno dei primi edifici su cui la Procura intende indagare. E per oggi è previsto un vertice tra il procuratore Rossini e i magistrati del suo ufficio. E' probabile che venga costituito un pool per l'attività inquirente. Intanto, quaranta consulenti tra geologi, sismologi, geometri, chimici ed esperti di costruzioni sono già al lavoro da giorni con carabinieri e squadra mobile per verificare le strutture e sequestrare atti utili all'inchiesta. "Le responsabilità - assicura il procuratore Rossini - saranno verificate in modo rigoroso dal materiale a tutta la filiera, dall'appalto all'acquisto di materiale, alla progettazione, al collaudo".
CARLO BONINI
L'AQUILA - Nel lugubre nulla dell'ospedale "san Salvatore" - 200 miliardi di lire, 28 anni di lavori, evacuato la mattina di lunedì 6 aprile - l'indice di un caposquadra genovese dei vigili del Fuoco indica il Problema. Un'infilata di pilastri in cemento armato che annuncia il Pronto Soccorso. Scoppiati come polistirolo. I tecnici dell'Enea e della Protezione Civile levano il naso all'insù. L'ingegnere che li guida, Alessandro Martelli, la dice tutta di un fiato: "Altro che norme antisismiche. Questa robaccia qui si sarebbero vergognati a costruirla anche nel 1700...".
Questa robaccia qui, del calcestruzzo sembra avere solo il nome. Viene via a grattarla con il polpastrello. Il terremoto ne ha solo messo a nudo l'anima indecente. Le lesioni dei pilastri mostrano ciuffi di tondini rugginosi aperti come petali e, soprattutto, l'assenza di staffe di contenimento, senza le quali ad un'armatura di cemento resta solo il nome. Percorsi da crepe profonde, i corpi di fabbrica principali dell'ospedale sono separati raramente da "giunti divisori", vale a dire da quelle intercapedini che avrebbero dovuto dare respiro alle strutture quando è arrivata la frustata. E che, al contrario, nella notte di domenica, si sono messi a battere l'uno sull'altro come martelli impazziti, amplificando l'onda d'urto, anziché dargli sbocco, spegnendola.
L'"edificio 10", quella che è stata la Farmacia, il magazzino di medicinali cui attingevano sale operatorie e corsie, ha l'aspetto di una scatola di compensato su cui si è accanita la fantasia manuale di un bimbo. I pilastri, anche qui, si sono aperti come noci di cocco.
Del "san Salvatore" non ha funzionato nulla. Perché?
Una prima risposta è in un documento di un centinaio di pagine dell'aprile 1980. E' la relazione di collaudo con cui l'ingegnere Giorgio Innamorati, l'architetto Luciano Rocco e il dottor Giuseppe Isernia (a quanto pare, un geologo), certificano che il primo e secondo lotto del "san Salvatore" stanno in piedi e, soprattutto, stanno in piedi a dovere. E' una lettura utile. Per quello che dice e per quello che non dice. Per la apparente facilità con cui fondazioni, qualità del cemento e dell'acciaio vengono certificate come di "buona fattura". Per qualche nome e cognome che nel documento viene annotato e che consente di cominciare a dare delle prime paternità a un falansterio che dal giorno del terremoto sembra improvvisamente non averne alcuna.
Scrivono i collaudatori: "L'intero complesso edilizio ricade in zona sismica di seconda categoria (con il tempo l'Aquila diventerà zona di prima categoria ndr.) (...) I calcoli delle strutture in cemento armato sono stati eseguiti dall'ingegner Gaspare Squadrilli, iscritto all'albo della provincia di Roma, le indagini geognostiche dalla ditta "R. Rosoni palificazioni e sondaggi" de l'Aquila (...) Ingegnere capo per i lavori è stato nominato l'ingegnere Vincenzo Rossetti con delibera del cda della Cassa per il Mezzogiorno il 15 aprile 1977; la direzione dei lavori è stata affidata al professor Marcello Vittorini con identica delibera della Cassa per il Mezzogiorno (...) L'esecuzione dei lavori è stata affidata a trattativa privata all'impresa "Antonio Pascali" da Galatina (Lecce)".
Il terreno su cui viene piantato il "san Salvatore" è, fino a 11 metri di profondità, una lingua di argilla, ghiaia e sabbia. Oltre quella soglia, uno zoccolo di calcare. La scelta è di costruire con "fondazione dirette". Dunque, che poggiano direttamente sul terreno. Prive di pali che le ancorino in profondità. E' una scelta corretta?
I collaudatori non affrontano la questione. Ma fanno qualcosa di più. Scrivono di "non aver ritenuto di esperire saggi in profondità", perché è stato sufficiente "ispezionare" i locali interrati dell'ospedale. Certo, ammettono che "esistono parti delle fondazioni, non più accessibili" e, dunque "non controllate" durante il collaudo. Ma su queste - annotano - "la Direzione dei Lavori ha fornito assicurazioni in merito alla regolare esecuzione".
Sulla parola della Direzione dei Lavori, i collaudatori fanno pieno affidamento anche quando si tratta di affrontare la qualità dei materiali. Forse dovrebbe dare da pensare il fatto che l'impresa appaltatrice (la "Antonio Pascali") era andata a carte quarantotto nel giugno del '79. Che per quel botto ne era nata una controversia con i committenti della Cassa del Mezzogiorno. E' un fatto, però, che quanto fatto sin lì in cantiere appare agli occhi della commissione di collaudo, "accettabile".
E' "accettabile", ad esempio, che i test di tenuta del cemento armato presentino, a quanto pare, un buco di certificazione. Si legge infatti nella relazione: "Per quanto riguarda le prove di rottura dei cubetti di calcestruzzo, la Direzione dei Lavori esibisce certificati rilasciati dal Laboratorio Prove dell'Università dell'Aquila del 3 giugno 1977, riferiti a campioni prelevati dal Delta Chirurgia (il reparto sale operatorie ndr.). La Direzione dei Lavori dichiara per altro che durante i lavori sono state prelevate terne di cubetti per ogni solaio e inviate dall'impresa per le prove al laboratorio sopra citato. Ma che, nonostante ripetuti solleciti, l'impresa non ha ancora provveduto a inviare alla Direzione dei Lavori i relativi certificati di rottura".
Non è dato sapere se quei certificati siano mai stati recuperati. E' un fatto che quel che avviene per le "prove di rottura dei cubetti di calcestruzzo" si ripete con "l'acciaio semiduro impiegato nelle strutture in cemento armato". Anche in questo caso, l'unico pezzo di carta mostrato ai collaudatori è il certificato di garanzia con cui la fabbrica ha licenziato, con un esame a campione, l'intera partita di acciaio da cui provengono i tondini utilizzati al "san Salvatore". "La Direzione dei Lavori - annotano laconicamente i collaudatori - provvederà ad esibire i certificati di calcestruzzo e del ferro".