Allora, vediamo di parlare dei diff autobloccanti. E di farlo in modo semplice e, spero, chiaro; senza troppe formule o complicazioni.
Fin qui abbiamo visto i differenziali liberi e quelli a basso rendimento interno. Diciamo che i differenziali liberi (cioè con rendimento = 1) sono differenziali “ideali”. Nella realtà, i differenziali “aperti” che equipaggiano la gran parte delle auto sono, in realtà, dei diff a basso rendimento interno (con valori di rendimento all’incirca di 0,9 / 0,95). Quindi, vedete bene che la differenza, la ripartizione, di coppia sui due assali, in questo caso, è abbastanza ridotta. Chiaro che se, invece, il rendimento fosse di 0,5…..
Comunque, sia i diff a rendimento unitario sia quelli a rendimento <1 non consentono, per esempio, di partire su fondi ad aderenza differenziata.
Per ovviare ANCHE a tale inconveniente, si sono introdotti i differenziali autobloccanti.
Adesso, col termine autobloccante vengono designati un certo numero di differenziali di un certo tipo. Per esempio, autobloccanti a frizioni (a lamelle, tipo ZF), torsen, ranger, etc. A dire il vero, ci sono altri tipi di differenziali (precaricati, cioè che hanno un precarico fisso; autoSbloccanti, viscosi, etc), che noi non vediamo (perché, alla fine, le formule –gira gira- sono sempre quelle, e poi sono utilizzati per scopi simili…).
In ogni caso, la cosa importante da dire è che i diff autobloccanti consentono di avere ai planetari, cioè ai semiassi di ogni ruota, 2 valori di coppie assolute differenti (tra loro) ENTRO un certo limite del valore della differenza di tali coppie. Insomma, le due ruote (dx e sx) possono avere coppie DIFFERENTI (entro un certo limite).
Questo risultato lo si ottiene con una particolare costruzione del differenziale: nel caso del diff autobloccante del tipo “ad attrito” (come può essere quello a lamelle ZF), lo schema è quello che vi allego qui sotto