UN PO' DI STORIA (per chi ha voglia):
bluzuc":2z2urhd9 ha detto:
Scusate la mia ignoranza...cè qualcuno che si arma di buona lena e mi racconta esattamente cosa successe alla ALFA??Cioè dalla crisi a questo famigerato IRI alla vendita alla fiat..e magari fatemi capire cosa centra Prodi e cosa avrebbe dovuto e potuto fare x il bene del marchio..ciao
E' un po' lunga e c'è la necessità di contestualizzare ma con l'aiuto del web cercherò di essere "breve" (per modo di dire):
IL CONTESTO:
La crisi economica internazionale del 1929 non provocò in Italia, contrariamente a quanto avvenne negli Stati Uniti e in Germania, un avvicendamento nella direzione politica del Paese, ma essa influì profondamente sulle iniziative del governo, in particolare sulla gestione dei settori produttivi e delle istituzioni finanziarie.Si delinearono quindi una ulteriore accentuazione del carattere autoritario e “integralista” del regime fascista e una progressiva intensificazione del carattere “interventista” dello Stato in materia economica.
Gli effetti del crollo di Wall Street e della recessione da esso innescata si fecero sentire in Italia con un certo ritardo, cioè solo alla fine del 1930 e con effetti parzialmente attenuati rispetto ad altre nazioni più esposte, come la Germania.
Avevano contribuito a questo ritardo alcune circostanze particolari. In primo luogo la relativa arretratezza dell’economia italiana, ancora solo parzialmente industrializzata e dominata dalle forme sociali tipiche di un paese prevalentemente rurale (urbanizzazione non molto intensa, strutture familiari allargate capaci di offrire sostegno ai disoccupati, una relativa bassa integrazione nel mercato internazionale). In secondo luogo la politica deflazionistica che aveva rallentato lo sviluppo economico italiano nella seconda metà degli anni Venti, facendo giungere il Paese alla “grande crisi” con un’economia meno surriscaldata rispetto alle altre nazioni industriali.
Infine l’esistenza di una pratica “interventista” e “dirigista” da parte dello Stato.
Gli effetti della crisi si fecero comunque sentire: nel 1930 la produzione industriale scese del 23% circa e quella agricola del 50%; i prezzi scesero bruscamente mentre il valore dei titoli industriali cadeva del 40% circa.
La più colpita fu la produzione destinata all’esportazione. A ciò si accompagnava un forte indebolimento della moneta e una grave crisi bancaria, che provocò una serie di fallimenti a catena.
LA STORIA:
Nel 1933
l’Iri nasce come ente provvisorio con il compito di salvare il sistema bancario e industriale italiano paralizzato dalla crisi.
Il progetto di riforma e la sua realizzazione sono opera di “tecnici” di grande capacità manageriale come Alberto Beneduce e Donato Menichella. Protagonista della vicenda fu soprattutto il primo, convinto sostenitore dell’industrializzazione del paese, che aveva già lavorato nelle strutture dei ministeri dell’età giolittiana ed era stato ideatore e presidente di enti pubblici come il Crediop (Consorzio per il credito alle opere pubbliche) e l’Icipu (Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità).
Il “sistema Beneduce” prevedeva la separazione fra banca e imprese industriali, con la partecipazione diretta dello stato al capitale di controllo delle imprese che sarebbero rimaste società per azioni, continuando quindi ad associare, in posizione di minoranza, il capitale privato; la gestione delle imprese era improntata a un criterio rigidamente privatistico di efficienza regolata dal mercato.
Lo stato si riservava un ruolo di indirizzo dello sviluppo industriale, ma non di gestione diretta: infatti non si tratterà di un processo di nazionalizzazione ma di una serie di interventi finalizzati al salvataggio e al sostegno finanziario di singole imprese.
Importante nella strategia dell’Iri era creazione di nuovi staff di amministratori e manager pubblici (le imprese statali saranno guidate da figure manageriali di primo piano nella storia del capitalismo industriale italiano come Oscar Sinigaglia, Agostino Rocca e Enrico Mattei).
Con la creazione dell’Iri si afferma in Italia una forma di capitalismo “misto” (metà pubblico e metà privato) che non ha eguali nei paesi occidentali. L’iri si presenta come una grande conglomerata di proprietà dello stato, con una dotazione iniziale della Banca d’Italia e la facoltà di emissione di obbligazioni a garanzia statale per convogliare il risparmio ai fini dello sviluppo industriale.
Punto di arrivo di una lunga storia di interventi statali nell’economia a partire dalla creazione dello stato unitario, l’Iri svolge un ruolo importante di razionalizzazione della struttura produttiva industriale (configurazione a superholding a struttura complessa con creazione, negli anni seguenti,di diverse holding settoriali: le prime sono Stet – telecomunicazioni; Finmare – settore armatoriale; Finsider – settore siderurgico).
Nel 1933 l’Iri acquisisce tutte le partecipazioni di Sofindit, Sfi e Elettrofinanziaria (le finanziarie delle banche miste); le posizioni debitorie e creditorie dell’Istituto di liquidazioni e la proprietà delle tre banche miste: lo stato italiano si ritrova quindi a possedere il 21,5% di tutto il capitale delle società per azioni italiane e a controllare il 42% del capitale azionario italiano: nasce lo Stato imprenditore.
Nel 1937 l’Iri viene trasformato in ente permanente per esigenze, si disse, di politica autarchica e di rafforzamento militare (per Mussolini appariva molto più attraente uno strumento centralizzato come l’Iri per le sue mire di potenza, piuttosto che un impegno a termine per un generale miglioramento dell’economia del Paese; la critica antifascista lo definì un sistema per “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”). FIAT dal '70 docet.
Attraverso il meccanismo delle partecipazioni statali, che portò l’Italia ad avere un settore pubblico inferiore solamente a quello dell’Unione sovietica, si realizzava anche una forma assai efficace di intervento diretto dello Stato nell’economia allo scopo di orientarne e dirigerne lo sviluppo secondo le linee della politica di programmazione economica.
Nel 1937 lo stato italiano di trovava quindi a controllare ampie porzioni dell’industria nazionale e del sistema creditizio, in particolare nei settori ad alta intensità di capitale con imprese di grandi dimensioni:
100% della siderurgia bellica (Terni, Ansaldo, Cogne)
40% della siderurgia comune
80-90% delle costruzioni navali
30% dell’industria elettrica
25% dell’industria meccanica
20% dell’industria del rayon
15% dell’industria chimica
15% dell’industria cotoniera
80% del settore bancario (le tre principali banche italiane: Banca commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma ).
Nel dopoguerra l’Iri allargava la sua sfera di intervento diversificando la propria presenza in molteplici settori dell’economia italiana, ma soprattutto assumendo un ruolo fondamentale nella politica economica: le partecipazioni statali sono infatti protagoniste dei nuovi complessi obiettivi delle politiche keynesiane e di indirizzo del mercato (riequilibri settoriali, riequilibrio nord-sud, gestione anticiclica della spesa pubblica), fino all’assunzione di oneri generali come la politica dell’occupazione e di investimenti in localizzazioni industriali svantaggiose.
Sulla strada della modernizzazione e della competitività del sistema industriale sono molto importanti i risultati conseguiti nel settore siderurgico a ciclo integrale e le prime realizzazioni nel settore energetico. Nel 1950 avvia il programma per la costruzione della rete autostradale con la costituzione della Società Autostrade, potenzia il settore navale e quello telefonico. Inoltre crea tre nuovi campi di attività diretta: la radiotelevisione con l’Eiar (che diventò poi la Rai), i trasporti aerei con l’Alitalia e la produzione del cemento con la Cementir.
Nella seconda metà di quel decennio l’intero sistema delle partecipazioni dello Stato venne coinvolto nel programma di sviluppo del Mezzogiorno: furono avviati nuovi impianti siderurgici a Taranto, una nuova linea dell’Alfa Romeo a Napoli, nuovi investimenti nelle industrie meccaniche, cantieristiche e dell’ingegneria impiantistica.
La crisi economica che si abbatte sul Paese dopo lo shock petrolifero del 1973 e gli esplosivi conflitti sociali di quegli anni, colpiscono in particolare le imprese pubbliche, che scelte politiche, anche in funzione anticiclica, rendevano sempre meno governabili e inefficienti.
Con il mandato affidato dal Ministero del Tesoro nel 1997 al consiglio di amministrazione dell’Iri sono definite le tappe per completare la privatizzazione delle società in partecipazione e per chiudere l’Istituto entro tre anni.
Il 30 giugno del 2000 l’Istituto per la ricostruzione industriale conclude la sua storia durata quasi 70 anni.
IRI e ALFA ROMEO:
(parto dal dopguerra quando la nostra beneamata era già sotto guida IRI)...gli stabilimenti di Pomigliano restarono comunque aperti, e nel 1967 furono affiancati a quelli per la produzione della vettura Alfasud. Nel 1948 l'azienda passo direttamente sotto la direzione della Finmeccanica (nata poiche l'IRI, dovendo affrontare troppi problemi finanziari ed economici in campi industriali differenti, decise di creare direzioni diverse a seconda delle competenze ) e da quel momento la produzione cambiò: non piu autocarri e motori marini, ma auto in serie che avrebbero trovato un buon riscontro di mercato e riportato l'Alfa Romeo a livelli precedenti il secondo conflitto mondiale.
La vera ripresa si ebbe pero solo negli anni '50 quando arrivo ai vertici dell'azienda Giuseppe Luraghi, gia Direttore Generale della Finmeccanica, il quale aveva capito che la motorizzazione era ormai diventata un fenomeno di massa e che quindi anche la produzione doveva adeguarsi producendo vetture di tipo medio e piu commerciabili.
L'Alfa Romeo venne cosi a trovarsi in una situazione economica favorevole tanto che nel 1960 venne cominciata la costruzione di nuovi stabilimenti ad Arese, che entrarono in funzione nel 1963, dato che ormai il solo Portello risultava insufficiente a sostenere i nuovi carichi di lavoro (si passo dalle 6104 unita del 1955 alle 57870 del 1960).
Sempre negli stessi anni si decise la creazione di un nuovo stabilimento a Pomigliano che doveva produrre vetture di fascia inferiore, la cui responsabilita di costruzione e gestione fu affidata all'Ing. Rodolfo Hruska. Questi furono realizzati in accordo con l'IRI e il Cipi vista la continua espansione del mercato automobilistico, e sulla base di alcune considerazioni dettate da obiettivi di sviluppo regionale e di investimento.
Le ragioni che dettarono la riapertura dello stabilimento furono sostanzialmente tre:
1. La forte immigrazione che dal sud si spostava verso il nord avrebbe ben presto fatto nascere notevoli problemi di sovraffollamento, per cui risultava improponibile la costruzione di un nuovo stabilimento al nord.
2. In quegli anni, fu varata una legge che favoriva l'industrializzazione al sud e che permetteva di usufruire di facilitazioni finanziarie.
3. L'Alfa Romeo aveva avuto gia un'esperienza positiva negli anni '40 impiantando uno stabilimento al sud.
L'Alfasud, purtroppo, si trovo subito in serie difficolta finanziarie poiche da una parte non riusciva a rispondere pienamente alle richieste del mercato, mentre dall'altra si trovava a dover affrontare non solo la crisi energetica, ma una piu generale che comprese tutto il mondo dell'industrializzazione negli anni '70.
Si trovò quindi a dover riesaminare tutti i preventivi fatti precedentemente e che ormai non trovavano piu riscontro nella nuova realta economica, in piu doveva risolvere problemi interni causati dagli operai e dalle maestranze derivati dal disaccordo tra quelli arrivati dal nord e i nuovi assunti del sud.
In pratica il problema maggiore fu dato dal fatto che l'Alfasud non fu un'azienda del meridione, ma del nord; prova ne furono gli uffici che furono trasferiti a Napoli solo qualche anno dopo l'apertura dello stabilimento (1971), per cui fino ad allora avevano operato in un ambiente sociale ed economico differente a quello degli stabilimenti.
Nel 1972 Luraghi lasciava l'Alfa Romeo e questa si trovo ad affrontare un lungo periodo di transizione, coincidente con le massicce rivendicazioni sindacali e operaie che caratterizzarono gli anni '70, fino all'arrivo nel 1978 di Ettore Masaccesi
(Nominato e protetto dal professor PRODI) il quale attuo una nuova ristrutturazione, la seconda dopo quella
realizzata da Ugo Gobbato negli anni '30, per meglio inserirla nelle nuove congiunture
economiche e di mercato.
La ristrutturazione interna prevedeva il risanamento finanziario e il rifacimento degli obiettivi che dovevano essere piu rispondenti alla realta; in pratica un'organizzazione non piu orientata verso la tecnica, ma verso il mercato sviluppando sia le funzioni finanziarie che il Controllo di Gestione e la Direzione Commerciale.
L'Alfa Romeo non riuscì più a seguire il processo di crescita che aveva conosciuto con Luraghi, anche la Joint Venture con la casa automobilistica giapponese Nissan (AR.N.A), per la produzione di una nuova vettura, non dette i risultati sperati e nel 1986 la Finmeccanica la cedette al gruppo FIAT che la concentro insieme con Lancia in un nuovo raggruppamento denominato "Alfa Lancia S.p.A.", divenuto operativo nel 1987.
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P.S. Da non dimenticare assolutamente i successi commerciali e sportivi dell'Alfa in quel periodo: Formula 1 poi passata all'Euroracing (Osella), Alfa 6, Alfa 90, Arna ecc. ecc.