[Calcio] Polverone intercettazioni, e altri scandali che stan venendo a galla.

Repetita juventu ... ops :asd)

Volevo dire: "Repetita iuvant" ...

CODICE DI GIUSTIZIA SPORTIVA​
TITOLO I.
NORME DI COMPORTAMENTO​
Art. 1
Doveri ed obblighi generali
1. Coloro che sono tenuti all'osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo i principi
di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.
2. Ai soggetti di cui al comma 1 è fatto divieto di dare comunque a terzi notizie o informazioni che
riguardano fatti oggetto di procedimenti disciplinari in corso.
3. I dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati, se convocati, sono tenuti a presentarsi dinanzi agli
Organi di giustizia sportiva.
4. Ai soci di associazione sono equiparati, ai fini del presente Codice, i soci delle società sportive
cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse.

E questo vale come linea di principio generale :OK)

...OMISSIS...​
Art. 6
Illecito sportivo e obbligo di denunzia
1. Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una
gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica, costituisce illecito sportivo.
2. Le società, i loro dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati che commettono direttamente o
che consentono che altri compiano, a loro nome o nel loro interesse, i fatti di cui al comma 1, ne
sono responsabili.
3. Se viene accertata la responsabilità diretta della società ai sensi dell'art. 2, comma 4, il fatto è
punito con le sanzioni di cui all'art. 13, comma 1, lettere g) o h), salva la maggiore sanzione in caso
di pratica inefficacia di tale pena.
4. Se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell'art. 9, comma
3, il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui all'art. 13, comma 1, lettere f),
g), h) e i).
5. I dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati riconosciuti responsabili di illecito sportivo sono
puniti con una sanzione non inferiore all'inibizione o squalifica per un periodo minimo di tre anni.
6. In caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato,
oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito, le sanzioni sono aggravate.
7. I dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati che comunque abbiano avuto rapporti con società
o persone che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi
precedenti, ovvero che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano
posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno il dovere di informarne, senza indugio,
la Lega od il Comitato competente ovvero direttamente l'Ufficio indagini della F.I.G.C..


Ma si dai ... andremo in B ! Ma torneremo !!! :OK)
 
Vabè, siamo in un circolo vizioso...si torna sempre a dire le stesse cose, per me ci sono, e di certo quelle che abbiamo letto/sentito, non sono tutte quelle che hanno sentito, ma se fosse per me parlano abbastanza chiaro, accordi o presunti tali se ne son presi.

Piuttosto non ho sentito telefonate con Della Valle e lotito.

Comunque aspetto di leggere le motivazioni prima di avere certezze, per adesso resta una mia idea.

Pegaso":364cwgmh ha detto:
Solo io dici ... ?
No, ma adesso sto parlando con te.
 
A me pare "Virtuoso" ... credo che nessun altro forum abbia eviscerato tutta la vicenda come il nostro ;)

E comunque anche io aspetto (con ansia) le sentenze finali ...

P.S.
Quelle di Della Valle si son sentite ... eccome ! :asd)
 
147 man":10vgb25e ha detto:
giangirm":10vgb25e ha detto:
Pegaso":10vgb25e ha detto:
E Sandulli ? (Presidente della Corte Federale)
"Non ci sono illeciti. Era tutto regolare. Il campionato 2004/2005 non è stato falsato.
L’unico dubbio è Lecce-Parma. La Juve protesta? Mi stupisco. Abbiamo confermato la sentenza Caf".


Da Calciomercato.com del 27/07/2006
ma allora che ci fa la Juve in serie B con due scudetti in meno? :scratch) hanno riconosciuto almeno un tentativo di illecito questi o no ? :scratch)
No il problema è quello non c'è stato illecito (o almeno non hanno delle prove). Il processo si è basato unicamente su supposizioni ed interpretazioni. :KO)

Sandulli se ha detto quelle cose dimostra solo la sua incompetenza..Nella lettura della sentenza lui stesso si rifaceva agli articoli 1 e 6 in quanto sono stati violati..cmq ragazzi mi pare che qui non si voglia riconoscere la realta'..forse per alcuni e' stato cosi' scioccante vedersi la propria squadra punita e pur sbagliando continua a difenderla..E' l unico motivo che mi spiego certi interventi che ho visto su questa discussione!! :KO)
 
La sua incopetenza la corte l'ha dimostrata in altre circostanze:

una sola squadra ha azzerato i vertici societari dopo lo scandalo...
le altre hanno attuato la solita campagna "io sono pulito", "ce l'hanno tutti con noi", "motivi politici", ecc...

mi risulta che abbia premiato la linea degli "gnorri"... eppure le telefonate c'erano...

ripeto per l'ennesima volta che sono convinto la juve meriti questa pena, nonostante a rimetterci sia chi non ha fatto nulla (e cioè i tifosi)... ma altrimenti come si sarebbe potuto fare????

morale della favola... chi è stato riconosciuto colpevole resta o tornerà nel calcio...
con la sola differenza che almeno noi potremo dire che certe gente l'abbiamo cacciata e dubito che la riprenderemo (anche se guardando in casa d'altri comincio a sperare il contrario!!!)
 
alk147":2y7re0zl ha detto:
Secondo me non così impeccabile, Casper dice che col tentativo si ricade nell'articolo 1 e non nel 6, ma il 6 recita:


"ARTICOLO 6
Illecito sportivo
Quando si tenta "con qualsiasi mezzo di alterare lo svolgimento o il risultato di una partita ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica"
"

http://www.gazzetta.it/Calcio/Altro_Cal ... late.shtml

In effetti Alk se vai a osservare bene l'articolo 6 è lì che si parla di "inefficacia della pena" come da me citato. :nod) Poi sono stati gli stessi giudici a non ravvisare gli estremi dell'articolo 6 bensì a configurare un articolo 6 sulla base di ripetute violazioni dell'1. Le manipolazioni juventine non erano rivolte direttamente ad alterare lo svolgimento o il risultato di una partita. Se questo ragionamento non fosse valido, allora avrebbero davvero dovuto accogliere in toto le richieste di Palazzi.
Se poi lo stesso Sandulli dice che il campionato non è falsato, vuol dire che si punisce la slealtà sportiva, non l'illecito vero e proprio.
Sono tutti ragionamenti che dimostrano in maniera lampante la necessità di un vero e proprio codice. Il regolamento sportivo, alla fin fine, si è rivelato inadeguato.
Certo, se non leggiamo le motivazioni nella loro forma completa continuiamo a discutere del sesso degli angeli.
 
Il fatto è quello, dalle motivazioni capiremo quale è la cavolata, se la decisione delle squalifiche date in quel modo o se le considerazioni di Sandulli e Serio.
 
Dopo aver saputo di essere assegnato all'Inter, lo Scudetto ha deciso di ricorrere al T.A.R. del Lazio....

:asd) :asd) :asd) :asd)
 
Ed ecco una ennesima interpretazione di "giustizia sportiva" :nono02)

Il Milan, come tutti sappiamo, è stato ammesso dall'Uefa ai preliminari di Champions League dopo la decisione del Comitato d'emergenza (Emergency Panel).
Lo stesso Comitato ha però informato il club Rossonero che:

"L'ammissione alle competizioni europee non è stata concessa con piena convinzione da parte dell'organismo di governo europeo del calcio"

Infatti, nella motivazione, si legge che:

"L'AC Milan ha tratto vantaggio dalla carenza da parte della Uefa di basi legali sulle quali fondare il rifiuto della richiesta di ammissione".

E dopo aver analizzato le dichiarazioni dell'AC Milan, il Comitato ha concluso che:

"La Società AC Milan non ha ancora compreso completamente la gravità della propria situazione e il danno causato all'immagine del calcio Europeo"

E ancora che:

"La Uefa non esiterà ad intervenire duramente nel caso l'AC Milan dovesse risultare coinvolto in attività tese a determinare in maniera irregolare il risultato di una gara".

Insomma: Un Salomonico "In dubbio, pro reo" !!! :OK)

Ora, per tornare in tema, mi chiedo: Ma l' Italia è in Europa o no ?
E' fin troppo evidente che anche le sentenze di "Calciopoli" peccano di lacune legislative determinate dalla mancanza di "precedenti" ovvero la "Esegesi delle fonti" ...

E quindi: Perchè ciò che è un "Principio" per la Giustizia Sportiva Europea, non lo è per quella Italiana ? :ka)
 
Se non avete un ****Edit da STAFF: alla prossima account sospeso! da fare...Ecco le Motivazioni
Sono 117 pagine...
10 capi d'incolpazione relativamente alle partite della Juventus FC
15 capi di incolpazione per la s.s. Lazio
40 capi di incolpazione per l'ACF Fiornetina
e 5 capi di incolpazione per l'AC Milan
(ho contato e basta, senza leggere i particolari....)
EDIT:
allora...ho letto il primo capo del Milan...beh...Meani, ha chiesto un guardalinee per il Chievo...ok
Mazzei perchè ha accolto le proteste, e ha assegnato quel ugardline..falso, Mazzei aveva proposto altri assistenti.
Gallliani perchè ha acconsentito alla condotta del Meani...cosa doveva fare? rubargli i cellulari?
secondo capo:
ACMilan resp.diretta e oggettiva per il capo di cui sopra, all'art.2 del CGS commi 3 e 4
terzo capo:Meani imputato in quanto avrebbe chiamato gli assistenti designati per ottenere una condotta favorevole al Milan.
4 capo: ACMilan per resp.oggettiva ai sensi dell'articolo 6, comma 4 e art. 2 commi 3 e 4 del CGS, per il capo di cui sopra
quinto ed ultimo capo:Babini e Puglisi per violazione art.6 comma 7 del CGS, venuti a conoscenza che la designazione era stata pilotata non hanno informato gli organi di competenza della condotta del Meani.
 
Decisioni di primo grado:
I primi giudici affermavano la responsabilità di tutti gli incolpati con riferimento a ciascuna
delle contestazioni loro mosse, alla luce e secondo il tenore delle intercettazioni
telefoniche confermative degli elementi strutturali dell’accusa e delle circostanze storiche
in essa indicate.
In particolare, la Commissione riteneva che la condotta del Meani rilevasse sotto il
concorrente profilo degli articoli 1, comma 1 e 6, commi 1 e 2, C.G.S., così come la
violazione della clausola generale di correttezza andava, secondo la sentenza impugnata,
esattamente ascritta anche al Mazzei.
Quanto alla posizione del Galliani i primi giudici osservavano che la sua condotta è
significativa sotto il duplice profilo della effettiva richiesta rivolta al Meani di conferma del
contatto con i designatori e sotto quello ulteriore della mancata obiezione alla proposta del
Meani, che veniva giudicata, dalla Commissione, come allusiva di una richiesta di
trattamento di favore per il Milan.
Conseguenziale alla condanna dei suoi dirigenti era l’affermazione di responsabilità
dell’A.C. Milan SpA, mentre degli assistenti Babini e Puglisi si metteva in rilievo, a fini
sanzionatori, l’omessa denuncia delle sollecitazioni ricevute.
 
DECISIONI DI SECONDO GRADO JUVENTUS F.C. e Altri(minchia se è lunga...)

C - Posizione della Juventus Football Club S.p.a., di Luciano Moggi, di Antonio
Giraudo, di Gianluca Paparesta, di Tullio Lanese, di Pierluigi Pairetto e di Massimo
De Santis.
La struttura dell’atto di accusa si apre con le articolate contestazioni relative alla posizione
della società Juventus che constano di molteplici addebiti, così ripartiti: a) incolpazione,
ex artt. 1, 1° comma e 6, 1° e 2° comma C.G.S., a Luciano Moggi, Antonio Giraudo,
Innocenzo Mazzini, Paolo Bergamo, Pierluigi Pairetto, Tullio Lanese e Massimo De
Santis, nonché a titolo di responsabilità diretta e presunta, alla società in questione, per
avere intrattenuto tra loro contatti indebiti, anche su linee telefoniche riservate, e
realizzato incontri riservati, così ponendo in essere condotte in violazione dei generali
doveri comportamentali e, al contempo, rivolte a condizionare a favore della Juventus, il
settore arbitrale;
b) Moggi e Giraudo, ex art. 1, comma 1, citato e la società per responsabilità diretta, per
aver tenuto, al termine della gara Reggina – Juventus del 6 novembre 2004, una condotta
verbalmente e fisicamente aggressiva nei confronti della terna arbitrale, punitivamente
chiusa a chiave nello spogliatoio;
c) Gianluca Paparesta (non rileva più la posizione di Pietro Ingargiola, per essere la
decisione impugnata divenuta definitiva nei suoi confronti per mancata impugnazione) per
avere omesso di segnalare la condotta di Moggi, di cui alla lettera b);
d) Lanese, ai sensi dell’art. 1 cit., per avere avallato e consigliato l’Ingargiola a porre in
essere il comportamento omissivo addebitatogli;
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e) Moggi, di illecito ai sensi dell’art. 6, comma 1, CGS e la Juventus di responsabilità
diretta e presunta, per avere posto in essere atti diretti ad alterare le gare della società
torinese contro Lazio, Bologna ed Udinese;
f) Bergamo, di illecito sportivo in relazione alle gare da ultimo menzionate;
g) De Santis per la medesima violazione, per aver aderito al disegno di alterare, a favore
della Juventus, la gara di quest’ultima in trasferta a Bologna, precostituendo la necessaria
squalifica di giocatori di tale squadra, già diffidati, ammonendoli nel precedente incontro da
lui diretto.
In relazione al complesso ordito accusatorio la Commissione di primo grado ha osservato
che la fattispecie di illecito sportivo di cui all’art. 6 citato, può integrarsi anche attraverso il
compimento di atti diretti ad assicurare, a chiunque, un vantaggio in classifica,
aggiungendo che tale autonoma ipotesi può prescindere dall’alterazione dello svolgimento
o dal risultato di una gara, sotto il profilo che la classifica nel suo complesso può essere
influenzata da condizionamenti che, comunque, finiscano, indipendentemente dall’esito
di singole gare, per determinare il prevalere di una squadra rispetto alle altre.
In concreto, i primi giudici hanno ritenuto che tale effetto di condizionamento del
campionato 2004/2005 sia stato, dagli incolpati, raggiunto grazie all’alterazione del
regolare funzionamento del settore arbitrale ed alla lesione dei principi di alterità, terzietà,
imparzialità ed indipendenza tipici di tale funzione.
Ulteriormente, la decisione impugnata ha osservato che, nella struttura dell’atto di accusa,
sono individuabili specifiche condotte di per sé violative dei generali canoni posti dall’art. 1
citato, il cui insieme è stato giudicato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare
funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, così risolvendosi in
un’attività diretta a portare alla società un vantaggio in classifica.
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Ed i primi giudici hanno espressamente aderito, in linea di principio, a questa impostazione
metodologica, diretta a surrogare la già segnalata carenza di punibilità in ambito federale
dell’associazione di più persone al fine di commettere un indeterminato numero di illeciti.
La Corte è dell’avviso che debba, logicamente, far precedere alla valutazione del materiale
probatorio a suffragio della impostazione prima illustrata il giudizio sull’ammissibilità,
espressamente contestata nelle impugnazioni degli appellanti, condannati in primo grado,
della doppia rilevanza disciplinare di una medesima condotta, considerata una prima volta
atomisticamente ed in sé, nella prospettiva che essa esprima il disvalore deontologico di
cui all’art. 1 CGS e riguardata cumulativamente ad altre condotte, nell’ottica finalistica che
essa abbia realizzato l’attività rivolta all’alterazione di gare, disciplinata, come illecito
sportivo, dall’art. 6 dello stesso codice.
La Corte ritiene che la decisione impugnata non meriti, sul punto, alcuna censura.
Ed invero, occorre prendere le mosse della struttura formale delle due violazioni
regolamentari di cui si tratta, e cioè l’art. 1 e l’art. 6 C.G.S..
La prima disposizione sancisce un generico obbligo di “lealtà, correttezza e probità in ogni
rapporto, comunque, riferibile all’attività sportiva”, così lasciando intendere che l’infrazione
al criterio generale di condotta in ambito sportivo può assumere configurazioni libere, cioè
non predeterminabili in ragione della loro forma e delle loro manifestazioni, ma qualificabili
in funzione della lesione del bene giuridico protetto dalla norma.
Ciò non toglie, tuttavia, che le condotte antigiuridiche, ai sensi dell’art. 1, possano in
concreto acquisire rilevanza casualmente efficiente nella prospettiva della commissione di
altre violazioni, costituendone mezzi idonei per la realizzazione, altrimenti non verificabile
o verificabile solo a condizioni diverse.
Ora, poiché l’art. 6, comma 1, prevede come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi
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mezzo, di atti diretti ad attuare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad
assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”, è evidente che, anche nella
conformazione della norma in esame e coerentemente con la stessa impostazione del
sistema normativo dell’organizzazione federale, la nozione di mezzo quale strumento per il
compimento degli atti, in essa descritti, non soggiace ad alcuna predeterminazione di
tipicità e ricava la sua riconducibilità, in concreto, all’alveo della disposizione a seguito
della sua accertata capacità di consentire il compimento dell’atto punibile.
Ecco, allora, che nella ricostruzione dell’illecito sportivo occorre guardare alla natura
dell’atto – tema che sarà affrontato in seguito – e, nel contesto di questa indagine, è
necessario giudicare della relazione di efficacia causale del mezzo in concreto prescelto
rispetto al compimento dell’atto. Logicamente, nessun diaframma è ragionevole interporre
ad una doppia valutazione di rilevanza di una medesima condotta, sussumendola nei
binari del generale disvalore deontologico e, in ottica diversa, concependola come
ineliminabile tassello strumentale nella realizzazione dell’illecito ex art. 6, senza che ciò si
traduca – a differenza di quanto sostenuto dalle difese nel corso della discussione orale –
in una (inammissibile) somma algebrica di singole condotte qualificate come antidoverose
ex art. 1 e senza che l’operazione valutativa, di cui si dice, determini l’assorbimento di tali
condotte nel paradigma dell’illecito sportivo con (insussistente) perdita della loro originaria
natura e rilevanza (ed in questo senso va rettificata la motivazione di primo grado, senza
effetti quoad poenam, in difetto di appello).
Deve, infatti, escludersi, alla stregua della struttura delle due norme e dei differenti beni
giuridici protetti, che vi sia un rapporto di necessaria inerenza delle condotte
genericamente antidoverose alla figura dell’illecito o che esse se ne possano considerare
elemento costitutivo: si tratta di un occasionale, di volta in volta da verificare, apporto
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causale alla realizzazione dell’illecito sportivo fornito da una condotta, comunque,
espressiva di una trasgressione all’ordinamento sportivo.
Il giudizio che compete, quindi, a questa Corte, una volta risolta, in senso confermativo
della decisione impugnata, la questione di principio, è quello circa la sufficienza del
materiale probatorio per affermare, da un canto, la sussistenza delle condotte contestate
ed a stabilirne, d’altro canto, l’idoneità a convertirsi in mezzi utili al compimento degli atti
previsti dall’art. 6, comma 1, C.G.S.
Anche a questo proposito la Corte non ha dubbi nel dichiarare che i primi giudici,
contrariamente a quanto sostenuto in tutti gli appelli degli interessati, hanno fatto
ineccepibile governo del proprio compito relativamente ad entrambi i punti, con la
conseguenza che tutta la parte della decisione concernente la posizione della Juventus
va confermata in termini di affermazione di responsabilità, con le modifiche peggiorative,
conseguenti all’impugnazione della Procura Federale, delle pene irrogate a taluni incolpati
e migliorative, in relazione ai rispettivi appelli, per altri incolpati, nei termini di seguito
esposti.
Opportunamente la sentenza impugnata pone una doppia premessa al proprio giudizio:
essa va condivisa e fatta propria da questa Corte, con le precisazioni che seguono quanto
alla prima.
Questa concerne la necessaria valutazione congiunta delle posizioni dei due dirigenti
della società torinese, Moggi e Giraudo: le considerazioni che seguono costituiscono
risposta e confutazione agli articolati gravami proposti sia da costoro, che dalla società
Juventus.
E’, in particolare, condivisibile, perché rispondente ad esigenze di logica e congruenza
argomentativa la ragione posta a fondamento di questa scelta, e cioè l’accertata e
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concertata – come si vedrà oltre – confluenza dell’oggetto e del fine della loro attività
illecità nell’interesse della Juventus.
Le loro condotte dovranno, pertanto, essere guardate come avvinte da questo comune
intento, anche se in singoli casi, possano essere state poste in forma disgiunta perché
così suggerivano le circostanze o divisavano gli incolpati allo scopo di consolidare gli
effetti positivi per la società delle loro azioni.
La Corte ritiene che, all’interno di questa impostazione metodologica, debba innestarsi una
coppia di osservazioni che faranno riverberare i propri effetti differenziali rispetto alle
posizioni di altri incolpati, società e singoli tesserati, allorché queste saranno esaminate.
La prima è che, diversamente dalla situazione registrabile in altri capi di incolpazione, i
due dirigenti in questione hanno manifestato piena ed incondizionata libertà di azione
senza che risultino, agli atti, momenti di coordinamento con altri organi amministrativi della
società (costituendone essi il vertice) ed in particolare con la proprietà.
Questo non significa, in alcun modo, che le loro azioni non siano direttamente riferibili alla
società (così superandosi la contraria difesa di questa), che ne era altrettanto direttamente
beneficiaria e che non lo sarebbe stata se tali azioni non fossero state poste in essere.
L’incidentale osservazione va fatta per distinguere l’operato di Moggi e Giraudo da quello
di altri dirigenti sportivi (è il caso di Mencucci ed Andrea Della Valle) la cui azione, come si
vedrà oltre, non ha esplicato un grado di efficienza causale minimamente paragonabile a
quella degli altri incolpati o ad essa assimilabile quanto a qualificazione giuridica.
La seconda precisazione, puramente integrativa del sostrato metodologico della decisione
impugnata, è resa necessaria da una tesi difensiva corposamente discussa dal club
torinese e volta a porre in luce l’esistenza di una netta soluzione di continuità tra l’azione
di uno dei due dirigenti (Moggi) e l’interesse della Juventus, ed a ventilare che il primo
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agisse per scopi mercantili suoi propri.
La Corte ritiene che, del tutto esattamente, i primi giudici abbiano affermato la
responsabilità di Moggi con esclusivo riferimento a condotte ed episodi positivamente
refluiti o capaci di refluire sulla posizione sportiva della Juventus, sicchè, come si vedrà
dall’esame dei singoli casi, nessun dubbio può sorgere circa l’inerenza dell’affermazione
delle pesanti responsabilità del dirigente al trattamento punitivo riservato alla Juventus.
E’ pur vero che dagli atti del giudizio emerge la partecipazione di Moggi ad episodi
costituenti oggetto di contestazione ad altre società ed altri tesserati (è il caso della
Fiorentina e dei suoi dirigenti) ed in nessun modo collegabili alla posizione della Juventus.
Ma è anche vero che, con riferimento ed essi, nessuna censura sportiva è stata mossa a
tale società, che, quindi, non ha subito alcun effetto sanzionatorio pregiudizievole.
Semmai, tali partecipazioni dimostrano che Moggi, anche se agiva in proprio, era dotato di
quel potere condizionante della correttezza di significative componenti del settore arbitrale
di cui motivatamente parla la decisione impugnata ed al quale era necessario
(metaforicamente) inchinarsi per sopravvivere nel mondo della Serie A e non vedere
vanificati investimenti e patrimonio societario e non mortificare la buona fede e la
passione degli ignari sostenitori.
Venendo, adesso, alla seconda premessa della CAF, consistente nella dichiarazione
programmatica di non considerare atomisticamente i fatti accertati e le conversazioni
telefoniche intervenute tra i vari incolpati e di valutarli, piuttosto, nel loro complesso e nella
loro correlazione, la Corte non può non riconoscere l’ineccepibilità del metodo (ed
applicarlo a propria volta), trattandosi di criterio di analisi necessario avuto riguardo alla
natura delle contestazioni ex art. 6 nella parte relativa all’alterazione diretta a provocare il
sistemico vantaggio in classifica ed alla pronunciata inscindibilità tra la posizione di
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Moggi e quella di Giraudo.
Egualmente e senza riserve condivisibili appaiono – così ancora una volta, rispondendosi
in termini confutativi ai gravami che hanno inteso colpire la statuizione in parola - le
conclusioni di merito cui è pervenuta la Commissione di primo grado a seguito dell’esame
del materiale probatorio ad essa sottoposto.
In particolare, merita totale adesione il passaggio nel quale la decisione impugnata ricava
dagli elementi di prova raccolti la convinzione della compiuta verificazione dell’esito
dell’illecito sportivo, e cioè dell’alterazione della classifica, a vantaggio della Juventus, del
campionato 2004/2005, per effetto del condizionamento del settore arbitrale.
Va, preliminarmente, osservato, che i giudici di primo grado hanno chiaramente enunciato
non solo che l’alterazione ex art. 6 CGS, rilevante ai fini del presente procedimento, aveva
ad oggetto la classifica del campionato in questione nel suo complesso, ma che il
programma era destinato a realizzarsi attraverso il condizionamento del settore arbitrale.
Ad avviso della Corte, deve indiscutibilmente affermarsi così ancora una volta, facendo
giustizia degli argomenti sviluppati in senso contrario nei gravami - la piena e concreta
attitudine a falsare la classifica posseduta dall’opera di condizionamento del settore
arbitrale, per effetto delle scelte e delle decisioni dei relativi vertici, influenzati della
decisiva opera di Moggi e Giraudo.
Come detto, sono più che adeguati e più che congruamente valutati, dai primi giudici, gli
elementi di prova dell’avvenuto condizionamento di cui si dice (come risalta dalle espresse
citazioni racchiuse al punto nella decisione impugnata, alle cui pagine da 79 a 90 si fa
espresso rinvio).
In effetti, agli atti è affluita una quantità cospicua ed inequivoca di elementi dimostrativi:
a) della speciale cura che i due dirigenti dicevano dovesse essere posta nei rapporti col
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mondo arbitrale;
b) della natura, intensità, ambiguità e non trasparenza dei loro rapporti con i designatori
Pairetto e Bergamo, costellati da ripetuti incontri conviviali, privati ed esclusivi, da un
incalzante numero di colloqui telefonici, dall’inspiegabile (almeno secondo i canoni della
limpidezza comportamentale) affidamento di telefonini insuscettibili di intercettazione,
dall’intercessione, a fini commerciali (quali l’acquisto di autoveicoli del gruppo FIAT), a
favore di persone legate a Pairetto, da regali offerti ai designatori e capaci di generare un
pericoloso sentimento di riconoscenza da parte dei donatari nei confronti dei donanti e,
quindi, della società di questi ultimi, dalle pesantissime, insistite interferenze di Moggi nella
predisposizione delle griglie per il sorteggio arbitrale atte a sovrapporsi, sovrastandole, alle
scelte del designatore Bergamo, sia con riferimento agli arbitri, che agli assistenti e
coronate da sostanziale successo (nel senso della fungibilità funzionale dei prescelti
rispetto a quelli desiderati e richiesti: è il caso del “pan bagnato” Gemignani e Foschetti in
luogo della “zuppa” Ricci e Gemignani, pretesa da Moggi per la gara Juventus – Udinese,
del 13 febbraio 2005), dalle minacciose intenzioni manifestate da Moggi a Bergamo nei
confronti di arbitri che “sbagliano” (è il caso della subliminale richiesta di punizione nei
confronti di Collina e Rosetti), dalle attuate ed umilianti della dignità del soggetto passivo
minacce ed aggressioni contro altri arbitri che sbagliano (Paparesta dopo Reggina –
Juventus, del 6 novembre 2004).
Questi gli episodi, ripetuti nel tempo e nello spazio, incontroversi nella loro storicità,
congiuntamente o disgiuntamente posti in essere da Moggi e Giraudo e, comunque, tutti
obiettivamente tendenti alla precostituzione di condizioni dalle quali la Juventus potesse
trarre vantaggio di classifica nel campionato 2004-2005, episodi a cui la decisione
impugnata ha giustamente attribuito capacità causale adeguata per il conseguimento di
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tale risultato sperato.
Anche questo giudizio va integralmente condiviso e specularmene rigettata la articolata
censura mossa alla decisione impugnata da parte degli appellanti.
Ed invero, una volta chiarito che il condizionamento del settore arbitrale costituisce
sistema comportamentale idoneo all’alterazione del campionato, va aggiunto che, ad
avviso della Corte, i mezzi in concreto posti in essere (e prima analiticamente descritti)
vanno definiti, senz’altro, idonei allo scopo, sia con valutazione ex ante che, per semplice
completezza espositiva, con valutazione ex post.
Si consideri, al riguardo, che in astratto le condotte di Moggi e Giraudo non potevano non
sortire il risultato auspicato in riferimento agli allettanti vantaggi diretti ed indiretti offerti ai
designatori (anche individualmente), all’ineffabile confidenza nei rapporti personali, alla
pervasività della presenza dei dirigenti juventini nelle scelte riservate all’ufficio di costoro;
al tempo stesso, l’idoneità ex post delle condotte stesse, nella prospettiva dell’art. 6 CGS,
si deduce, senza perplessità alcuna, dalla supina predisposizione, mostrata dai
designatori stessi (anche separatamente) a seguire le indicazioni di Moggi e Giraudo (in
materia di designazione di assistenti,concertazione della formazione delle griglie, piena
connivenza omissiva rispetto ad episodi minacciosi ed aggressivi di cui Moggi era stato
autore).
A questa stregua, la decisione impugnata va confermata (rimanendo, come esposto nella
parte precedente, priva di conseguenze sul trattamento sanzionatorio per difetto di
impugnazione, sul punto, la ritenuta ammissibilità di concorso tra art. 1 ed art. 6 CGS per il
caso di medesima condotta autonomamente valutabile nella doppia prospettiva): delle
pene da irrogare agli incolpati si dirà al termine della trattazione del complesso delle
incolpazioni relative alla Juventus.
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Corretta e consequenziale è l’affermazione della responsabilità diretta della società
rispetto ai fatti di cui è stato ritenuto responsabile il suo rappresentante legale Giraudo.
* * * *
Va, altresì, confermata la decisione impugnata – con conseguente rigetto dell’appello della
Procura Federale - nella parte in cui ha ritenuto non essere stata raggiunta la prova della
responsabilità di Mazzini, Pairetto, Lanese e De Santis in ordine alla violazione dell’art. 6,
comma 1, C.G.S., contestata a Moggi e Giraudo di cui ci si è appena occupati, fermo
restando l’altrettanto condivisibile accertamento di rilevanza di talune condotte, ai fini
dell’art. 1 e nei termini di cui si dirà oltre.
In particolare, la Commissione ha esattamente rilevato che non fosse stata raggiunta la
prova né dell’intenzionale direzione delle condotte degli appellanti, né della loro idoneità
allo scopo.
A questo proposito la Corte rileva che la configurabilità dell’illecito ex art. 6 CGS non può
che fondarsi su una prova solida ed al di là di ogni ragionevole dubbio che l’atto umano
oggetto di incolpazione riveli (oltre che la sua idoneità al raggiungimento del risultato
vietato) la volontà dell’agente di realizzare, con dolo specifico, l’illecito, in quanto il
paradigma normativo, nell’utilizzare il termine “diretti” con riferimento agli atti, pone un
rapporto di necessaria implicazione tra la natura dell’atto in sé ed il fine illecito che, tramite
lo stesso, l’autore si propone.
Il difetto della prova che ad ispirare la condotta dell’incolpato fosse il conseguimento del
risultato illecito non può che risolversi, come esattamente osservato dalla CAF, ed
infondatamente contestato dalla Procura Federale, nel fallimento dell’ipotesi di ricorrenza
dell’illecito.
Ora, nel caso di specie, non vi sono elementi che consentano di affermare, con certezza,
71
che gli appellati, tramite condotte pur deontologicamente reprensibili ex art. 1 CGS, come
si dirà, avessero un interesse chiaro, diretto ed inequivoco a favorire la Juventus, né una
convincente prova, in tal senso, è stata fornita o dedotta: resta il fatto in sé di condotte
scorrette o sleali, ma ciò non basta a far presumere che vi fosse il fine palese o occulto di
determinare l’alterazione del campionato a favore della Juventus, soprattutto in assenza di
adeguato movente.
La Corte ritiene che il dubbio possa residuare nei confronti di Pairetto a causa dei ripetuti
contatti commerciali, mediati da Moggi, per l’acquisto di veicoli Fiat scontati anche a favore
di terzi: il comportamento è certamente riprovevole e scorretto – ciò che rileva ai fini della
determinazione della sanzione, in sede di esame dell’appello della Procura Federale, che,
in virtù del proprio effetto devolutivo, investe per intero la posizione dell’appellato - ma
non integra la certezza di un atteggiamento favoritistico, soprattutto se si considera il
minor ruolo nella vicenda di tale designatore rispetto all’altro, almeno quale emerge dagli
atti.
Analogamente, va confermata l’affermazione di responsabilità di Lanese ex art. 1 CGS,
sotto il duplice profilo, congruamente valorizzato dai primi giudici, dei ripetuti, confidenziali
ed impropri incontri con i dirigenti juventini e dei rapporti commerciali intrattenuti con essi.
Nessun rilievo escludente o attenuante della responsabilità di Lanese può essere
riconosciuto, contrariamente a quanto sostenuto dalla sua difesa, alla necessità degli
incontri a causa del ruolo, in senso lato politico, di Presidente dell’AIA.
In contrario valgano tre considerazioni:
a) mentre vi è la prova di un eccesso di confidenza conviviale e commerciale, del tutto
inappropriata e biasimevole, tra l’incolpato e Moggi e Giraudo, non vi è alcuna prova della
connessione di tali incontri con il perseguimento di fini istituzionali dell’Associazione,
72
piuttosto che personali;
b) proprio la delicatezza del ruolo istituzionale avrebbe imposto all’incolpato un
supplemento di prudenza, avvedutezza ed integrità;
c) Lanese ha, comunque, impropriamente beneficiato, grazie al fattivo intervento dei
dirigenti juventini, di sconti commerciali che mai avrebbe dovuto chiedere – quale che ne
fosse l’importo – a persone che avrebbero potuto strumentalizzare la situazione di
riconoscenza psicologica di cui egli sarebbe stato inevitabilmente portatore.
Conseguenzialmente all’esclusione della responsabilità ex art. 6 degli estranei alla
Juventus, va negata la relativa responsabilità presunta.
* * * *
Va confermata la decisione impugnata anche nella parte relativa alla gara Reggina –
Juventus che qui viene in rilievo per ciò che concerne la condotta aggressiva e minacciosa
rilevante ex art. 1 CGS, di Moggi e Giraudo, al termine della gara, nei confronti della terna
arbitrale.
Viene, poi, contestata alla società torinese la responsabilità diretta,all’arbitro Paparesta la
mancata segnalazione della condotta ed al Presidente Lanese il fatto di avere incoraggiato
il comportamento omissivo dell’osservatore Ingargiola.
Ad avviso della Corte è inattaccabile la ricostruzione in fatto dell’episodio effettuata dai
giudici di primo grado, con conseguente rigetto dei gravami miranti ad una riforma della
decisione sul punto.
La Commissione ha posto in rilievo che dalle risultanze processuali (ed in particolare dalle
indagini effettuate dal Nucleo Operativo dei C.C. di Roma, e trasfuse nel rapporto del
relativo Comando Provinciale, oltre che dall’intrecciarsi delle intercettazioni telefoniche dei
colloqui tra Lanese ed Ingargiola, avvenuti in due riprese dopo il termine della partita, da
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un lato, e di quelle tra Moggi e terzi ripetute nel tempo, dall’altro) emerge l’atteggiamento
minaccioso ed irriguardoso assunto, con modalità diverse, ma egualmente deprecabili
(l’uno minaccioso, l’altro irriguardoso), nei confronti di arbitro ed assistenti, alla presenza
anche del quarto ufficiale e dell’osservatore Ingargiola, da parte di Moggi e Giraudo.
La ricostruzione è precisa ed incontestabile, ed indiscutibile è la rilevanza in termini di
disvalore deontologico delle condotte, a vario titolo, ascritte agli incolpati.
In particolare, si consideri la narrazione dell’episodio (cfr. telefonata, prog. 907), effettuati
con toni a metà strada tra il grottesco e l’incredulo dall’osservatore Ingargiola a Lanese, il
quale, ascoltando il racconto del collaboratore secondo cui non aveva mai visto un
episodio simile nella propria vita, non trovava di meglio che impartirgli la
raccomandazione, come spessissimo è avvenuto nelle varie conversazioni telefoniche agli
atti, di badare ai fatti propri (evidentemente non coincidenti con quelli dell’istituzione che
rappresentava).
Sulla medesima linea era il racconto telefonico di Moggi ad un giornalista (prog. 140), nella
quale il dirigente si vantava di averli “fatti neri tutti quanti” e di averli “chiusi a chiave” con
l’intento, poi scongiurato da qualcuno imprecisato di “portà via le chiavi”: cfr. le risultanze a
pag. 25 e 26 dell’informativa di reato del Comando Provinciale di Roma dei C.C. redatta il
19 aprile 2005.
I dirigenti hanno, infatti, violato gli spazi riservati alla direzione tecnica della gara e posto
in essere un comportamento lesivo del loro onore e della loro dignità; l’arbitro Paparesta
ha, in modo certo, tollerato l’incresciosa situazione ed omesso di denunciarla, anche a
tutela del prestigio della funzione, oltre che individuale; il presidente Lanese ha tradito il
proprio compito istituzionale di tutela della categoria ed il proprio dovere di ligia
osservanza delle norme federali e di settore.
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Il tema delle sanzioni sarà affrontato in esito alla trattazione della prima parte della
decisione impugnata.
* * * *
Per concludere l’esame della decisione appellata laddove è dedicata alla posizione della
Juventus, vanno affrontate le impugnazioni di incolpati e Procura Federale relativamente
alle gare Juventus – Lazio e Bologna – Juventus (e, quale possibile antecedente logico,
Fiorentina – Bologna) e concernenti gli incolpati Moggi, De Santis e F.C. Juventus S.p.A.
La Corte ritiene che le statuizioni, sul punto, della decisione impugnata (ad eccezione di
quelle relative alla determinazione delle sanzioni, di cui si dirà in seguito) debbano essere
confermate.
Ed invero, è da condividere la generale conclusione della CAF secondo cui l’interferenza
nella designazione arbitrale, riferibile ad un tesserato, non può dar luogo ad illecito
sportivo ove non vi sia la prova rigorosa che a tale attività abbia fatto seguito l’ulteriore
segmento che l’interesse per la designazione di uno specifico arbitro, manifestato da un
dirigente di società sportiva, pervenga all’arbitro stesso e che da parte di esso traspaia,
comunque, adesione alla richiesta.
L’assenza del “segmento” tecnico della fattispecie a formazione progressiva (tale perché
necessitante la concorrente partecipazione di più soggetti, ciascuno con competenze e
responsabilità di ruolo adeguati al raggiungimento del risultato alterativo della gara,
competizione o classifica) ne impedisce il relativo perfezionamento, mentre non osta
affatto alla possibile sussumibilità delle condotte appartenenti al segmento iniziale
(condotte interferenti) e , quindi, definibili come meri atti preparatori, nel paradigma di
quelle poste in violazione dell’art. 1 CGS.
Più in particolare, la decisione impugnata ha isolato, dal contesto delle incolpazioni in
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esame, la posizione di Moggi decretandone correttamente la rilevanza nei termini appena
menzionati, del tutto antagonisti rispetto alla contraria tesi difensiva.
Il profuso materiale probatorio dimostra che vi fu un incontro, di pochi giorni precedente la
gara Juventus – Lazio, tra Moggi, Giraudo, Pairetto e Bergamo e, altresì, che l’indomani di
tale incontro e prima della comunicazione ufficiale del nome degli arbitri sorteggiati il primo
ne fosse già a conoscenza.
Vi è, altresì, la prova, in atti, dell’indebita interferenza di Moggi su Bergamo in vista della
formazione della griglia di arbitri destinati a dirigere gare da disputare nella giornata in cui
si giocava Juventus – Udinese.
Non può, però, ritenersi raggiunta – contrariamente all’assunto della Procura Federale – la
prova che all’arbitro De Santis fosse pervenuta la richiesta di Moggi – pur adombrata nel
corso di una apposita conversazione telefonica, di cui a pag. 102 della decisione – di
intervenire punitivamente sui giocatori diffidati del Bologna per renderne certa la squalifica
nella successiva gara che tale squadra avrebbe disputato contro la Juventus, né che suoi,
eventuali, errori tecnici disvelassero una illecita volontà favoritistica per tale squadra.
Conclusivamente, va confermata la riconducibilità delle condotte di Moggi alla trama
dell’art. 1 ed esclusa qualunque responsabilità di De Santis a proposito dell’incolpazione in
esame.
Concluso l’esame delle varie ed articolate posizioni, ricomprese nei capi di incolpazione da
1 a 10, la Corte osserva quanto segue in relazione alle sanzioni da irrogare ai soggetti
dichiarati colpevoli e, in via preliminare, ai criteri di presidio per la relativa determinazione.
La decisione di primo grado ha combinato i criteri di applicazione della pena risultanti dal
primo comma dell’art. 13 C.G.S., e dipendenti dalla natura e gravità dei fatti commessi con
quelli, sempre in punto di gravità, desumibili dall’art. 133 del codice penale e legati alle
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modalità delle azioni poste in essere, alla loro incidenza concreta rispetto al campionato
2004/2005 ed all’immagine dello sport italiano, all’intensità della colpevolezza in relazione
alle singole posizioni funzionali, all’accertata pluralità di illeciti, alle condizioni economiche
del responsabile (nel caso di ammende), alla lesione arrecata alla funzione ed
all’immagine della categoria ( rispettivamente di dirigenti federali ed arbitri).
La Corte ritiene che, in linea di principio e con riferimento alla generalità dei casi su cui è
chiamata a pronunciarsi, debbano essere tenuti in considerazione i citati criteri ispiratori di
natura generale ed astratta, salva la necessità di concreta commisurazione e
temperamento con ulteriori criteri integrativi da applicarsi nei singoli casi in modo da
realizzare un bilanciamento tra la doverosa afflittività della pena e particolari condizioni
soggettive ed oggettive tale da portare ad una determinazione equa e ragionevole della
sanzione.
Con riferimento alle posizioni, sin qui, esaminate la Corte osserva quanto segue.
Va confermata la pena di cinque anni di inibizione e proposta al Presidente federale di
preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. e all’ammenda di
50.000 euro motivatamente inflitta a Moggi alla luce sia dell’affermata responsabilità per
gravi episodi di illecito sportivo, sia dalla protrazione nel tempo, sostanzialmente
corrispondente allo svolgimento del campionato 2004/2005, della sua condotta
strutturalmente rivolta al conseguimento dello scopo di alterazione della competizione per
effetto del condizionamento della classe arbitrale, sia, infine e con particolare rilievo, alla
luce della completa realizzazione in termini effettuali dell’illecito disegno, che ha incrinato
la pubblica fiducia nella lealtà delle competizioni sportive.
Considerazioni analoghe valgono per Giraudo, la cui pena va confermata, anche se essa
contempla una più lieve sanzione economica (20.000 euro di ammenda) a causa della
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minor frequenza dei colloqui telefonici con i designatori, senza che ciò possa essere, in
alcun modo, considerato indice di dissociazione o inconsapevolezza dall’operato di Moggi
e della sua attività strutturalmente orientata verso scopi illeciti.
Per quanto concerne la pena da irrogare alla società Juventus occorre tenere conto
cumulativamente di una serie di fattori.
In primo luogo, deve porsi nel dovuto rilievo il, già ricordato, carattere stabile e duraturo,
nel corso della stagione sportiva 2004/2005, della condotta illecita ed antidoverosa dei
propri dirigenti, del conseguimento dell’obiettivo di condizionamento a proprio favore del
settore arbitrale, dell’ulteriore vantaggio dell’alterazione della classifica e dell’ottenimento
della vittoria del campionato, della rimarchevole ed irreparabile alterazione della parità di
condizioni di contendibilità del titolo sportivo rispetto a molte altre squadre, del beneficio
tratto dalle condotte dei propri dirigenti che, seppure non diano formalmente vita ad un
“sistema”, solo per difetto della previsione dell’illecito sportivo associativo, sicuramente
possiedono il carattere altamente inquinante della sistematicità e della stabilità
organizzativa: l’aggregazione di tutti questi disdicevoli elementi è, peraltro, addebitabile,
tra tutti gli incolpati del presente procedimento, solo alla Juventus, ciò che ne rende
incomparabile, in negativo, la posizione rispetto ad ogni altro.
Va poi tenuto conto della ricorrenza dell’aggravante dell’effettivo conseguimento del
vantaggio in classifica, come prescritto dall’art. 6, comma 6, C.G.S..
A fronte di tali pesantissimi elementi negativi appare equo porre, con il dovuto effetto
mitigativo della pena, rispetto a quella inflitta in primo grado, l’importante e prestigiosa
storia sportiva, di cui ha sempre percepito i frutti anche la prima squadra nazionale, della
società (elemento di cui l’ordinamento sportivo tende, sempre più spesso, a tener conto,
come dimostra il favore verso la riammissione in campionati immediatamente meno
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elevati, di quello di competenza, di società dichiarate, fallite, ma portatrici di un glorioso
passato atletico) nonché la rimozione, o la mancata opposizione alle dimissioni, dei
dirigenti responsabili della condanna.
Va ritenuta congrua la seguente pena che, necessariamente, interviene lungo una triplice
traiettoria temporale:
1) la sanzione della revoca dell’assegnazione dello scudetto 2004/2005 è l’effetto diretto
dell’accertata alterazione del campionato ad opera della società e dei suoi dirigenti e va
inflitta come pena autonoma, ai sensi della lettera i) dell’art. 13 CGS, così confermandosi
la decisione di primo grado;
2) la sanzione della non assegnazione del titolo di campione di Italia 2005/2006 e della
retrocessione all’ultimo posto in classifica nello stesso, ai sensi del combinato disposto
della disposizione da ultimo citata e della lettera g) della norma in questione, dipendono
dalla circostanza che va considerato “campionato di competenza”, a scopi concretamente
sanzionatori, quello nel quale l’illecito è accertato (argomentando dalla logica
osservazione sviluppata, sul punto, dalla Commissione disciplinare nella propria decisione
del 27 luglio 2005, in comunicato ufficiale n. 10 della Lega Nazionale Professionisti,
relativa al cd. “caso Genoa”) o giudicato, allorquando non sia più possibile intervenire su
quello in cui l’illecito fu consumato (che costituisce la cornice tipica del campionato di
“competenza”): sanzione generata dalla speciale gravità dei fatti commessi e, dunque, da
confermare, assieme a quella pecuniaria di 80.000 di ammenda, certamente commisurata
alle capacità economiche della società.
3) la sanzione della penalizzazione nella prossima stagione sportiva, volta ad attribuire
adeguata efficacia anche deterrente al trattamento complessivo, nella misura
ragionevolmente affittiva, di 17 punti (molto prossima alla dichiarazione di congruità della
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pena resa esplicita in primo grado dal difensore della società, su espressa sollecitazione
del Presidente del Collegio) e della squalifica per 3 gare di campionato del campo di
giuoco, così riformandosi equitativamente l’originaria pronuncia.
Va confermata la sanzione di due anni e sei mesi di inibizione irrogata a Lanese, tenuto
conto dell’opacità delle condotte ascrittigli, in particolare modo incompatibili con il prestigio
della carica di Presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, e del conseguente disdoro
provocato per il prestigio della categoria.
Per ciò che concerne la posizione di Pairetto è da ribadire l’effetto devolutivo generale in
ordine all’esame della sua posizione conseguito all’impugnazione della Procura Federale.
Valutando i suoi comportamenti emergono gravi ed univoci sintomi di disvalore e prove di
ripetute offese alla deontologia e alla credibilità della sua delicatissima funzione di
designatore arbitrale, seriamente compromessa dalle frequentazioni e dai rapporti descritti
nella parte che precede.
La Corte ritiene debba essere, pertanto, opportunamente aggravata la pena inflitta in
primo grado, elevandola da due anni e sei mesi a tre anni e sei mesi di inibizione.
Venendo alla posizione di Paparesta, la Corte rileva, in primo luogo ed in aderenza a
principi generali dell’ordinamento giuridico, come la pendenza del presente procedimento
disciplinare precluda la possibilità di assoggettamento ad ulteriore sanzione in ogni ambito
e settore dell’ordinamento federale della medesima condotta fenomenicamente intesa,
fatta salva la possibilità da parte dei competenti organi tecnici di dedurre dagli
accertamenti racchiusi, in via definitiva, nel presente giudizio elementi di valutazione di
ordine tecnico – professionale, ai fini propri del settore arbitrale.
Ciò premesso, la Corte è certa che sia tutt’altro che eccessiva, e che vada quindi
confermata, la sanzione dell’inibizione per tre mesi inflitta dai giudici di primo grado, tenuto
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conto della gravità della violazione, sintomatica di un atteggiamento remissivo e debole di
un prestigioso arbitro internazionale di fronte a fatti mortificanti per la sua persona e per la
dignità della funzione.
Incidentalmente va osservato, così rispondendo ad una apposita deduzione difensiva, che
la pena si considera espiata dal momento iniziale in cui essa produce l’effetto affittivo,
computando in essa anche la eventuale sospensione cautelare comminata dall’AIA.
 
Decisione di Secondo Grado(S.S.Lazio,Carraro e Lotito)

D - Posizione della S.S. Lazio S.p.a., di Claudio Lotito e di Franco Carraro
Il capitolo della decisione impugnata relativo alla posizione della società Lazio si snoda in
una serie di contestazioni delle quali, rispetto alle originarie, residuano, in questa sede,
soltanto quelle riguardanti la gara Lazio – Brescia, del 2 febbraio 2005, e la gara Chievo
Verona – Lazio, del 20 febbraio successivo.
Iniziando da quest’ultima, va osservato che erano chiamati a rispondere:
1) Claudio Lotito, quale Presidente del consiglio di gestione della SS Lazio S.p.A., per
avere avviato contatti con il Vice Presidente Federale Innocenzo Mazzini, affinché questi
esercitasse pressioni su Bergamo e Pairetto tendenti all’alterazione della gara in favore
della Lazio tramite la designazione di un arbitro che garantisse la realizzazione del
risultato;
2) Mazzini, Bergamo, Pairetto e l’arbitro della gara, Gianluca Rocchi, per aver posto in
essere atti diretti, ex art. 6 C.G.S., ad alterare il risultato della gara;
3) La S.S. Lazio S.p.A. a titolo di responsabilità diretta e presunta.
La decisione di primo grado ha osservato che in relazione a tale gara non poteva ritenersi
sussistente la prova ( oltre ogni ragionevole dubbio) del compimento, da parte dei deferiti,
di atti costituenti illecito sportivo, ex art. 6 cit.
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In particolare, i primi giudici sono stati dell’avviso che, per quanto fosse acquisita la prova
inoppugnabile di contatti telefonici, in momenti anteriori e posteriori alla gara, tra Mazzini,
Lotito ed un dirigente federale (Cosimo Maria Ferri), la cui rinuncia al tesseramento ha
fatto venir meno la giurisdizione federale nei suoi confronti, non vi fosse la prova adeguata
del compimento di atti diretti ex art. 6 e che, in ogni caso, mancasse quella della chiusura
del segmento arbitrale, attraverso la necessaria comunicazione all’arbitro Rocchi, della
quale, ad avviso dei primi giudici, sarebbe appunto mancata qualsiasi traccia.
La CAF riteneva, tuttavia, che dal colloquio telefonico dell’8 febbraio 2005 tra Bergamo e
Mazzini emergesse la prova dell’avvenuta iniziativa di Lotito presso Carraro per
sensibilizzarlo alla posizione della Lazio nonché del successivo intervento di Carraro
presso Bergamo (colloquio sul quale si tornerà più analiticamente esaminando la
precedente gara Lazio-Brescia), ciò che avrebbe determinato l’infrazione dei doveri di cui
all’art. 1 CGS da parte di Lotito e Mazzini e la responsabilità diretta e presunta della Lazio.
La decisione, impugnata sia dall’accusa, che dagli incolpati, si sottrae ad ogni censura e
va, quindi, confermata.
Ed infatti, va, ancora una volta, prestata adesione allo schema logico, con lungimiranza
adottato dai primi giudici, che li ha portati a distinguere, nella sequenza di condotte che
secondo l’atto di accusa sarebbero state tra loro concatenate ai fini della commissione
dell’illecito sportivo, tra comportamenti sleali e scorretti, ma inefficienti sul piano della
concreta, univoca ed idonea direzione al fine dell’alterazione proibita, e condotte che, tra
loro teleologicamente connesse in ogni quota, possano considerarsi atte e rivolte allo
scopo punito dall’art. 6 CGS.
E con particolare rigore probatorio – che consente di superare tutte le censure mosse alla
decisione - i primi giudici hanno guardato alla prima delle due categorie di condotte
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descritte che non risultassero seguite dalla piena realizzazione del segmento tecnico
costituito dall’informazione del piano illecito rivolta all’arbitro e della sua fattiva adesione
ad esso attraverso una (deviata) prestazione tecnica.
La Corte non può che ribadire, al riguardo, che la mancata informazione svilisce la portata
del primo segmento di condotte, relegandole alla categoria, anche penalmente irrilevante,
dei meri atti preparatori, non meritevoli di specifica rilevanza.
Anche nel caso che adesso ci occupa la CAF ha fatto puntuale e persuasiva applicazione
di questo criterio direttivo, rilevando come non vi fosse, comunque, prova alcuna della
ricorrenza del segmento tecnico, pervenendo all’ineccepibile conclusione che tale carenza
impoveriva, rendendola in configurabile, l’ipotesi accusatoria ex art. 6 CGS.
In modo parimenti convincente e congruamente motivato (ciò che rende caduca
l’impugnazione) la CAF ha ravvisato nel colloquio prima citato tra Bergamo e Mazzini (su
cui, come detto, si tornerà tra breve) la prova logica e diretta del compimento da parte del
secondo interlocutore e di Lotito di comportamenti contrari alla clausola generale dell’art. 1
CGS, in quanto intenzionalmente propedeutici e strumentali ad un’illecita alterazione
sportiva, in concreto mancante per carenza della (prova della) sussistenza del segmento
arbitrale.
Sotto ciascuno di questi profili, la decisione impugnata va confermata in parte qua, con
rinvio al paragrafo dedicato al trattamento sanzionatorio delle considerazioni circa gli effetti
discendenti dalle condotte prima illustrate.
* * *
I primi giudici si sono, inoltre, pronunciati – come detto - sulla gara Lazio-Brescia in
relazione alla quale erano stati deferiti:
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a) Lotito per avere avviato contatti con Carraro affinché questi premesse su Bergamo al
fine della designazione di un direttore di gara favorevole alla sua squadra nella prospettiva
dell’alterazione del risultato;
b) Carraro per aver esercitato pressioni su Bergamo al fine suddetto;
c) Mazzini, ai sensi dell’art. 6, comma 7, CGS, per aver omesso di informare i competenti
organi federali dell’illecito del quale era venuto a conoscenza;
d) la S.S. Lazio SpA per responsabilità diretta e presunta.
La decisione impugnata perveniva alla conclusione della sussistenza della responsabilità
per illecito sportivo di Lotito e Carraro, di quella omissiva di Mazzini, nonché della
responsabilità sia diretta, che presunta ascritta alla società Lazio.
In particolare, la CAF sottolineava come, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, il
presidente Lotito fosse intervenuto presso il Presidente della FIGC Carraro ed il Vice-
Presidente Mazzini per ottenere un trattamento di favore nei confronti della propria
società, la cui prima manifestazione si sarebbe avuta alla vigilia della gara in esame
mediante un intervento diretto di Carraro presso Bergamo, cui avrebbero fatto seguito
ulteriori contatti di Mazzini con Lotito e con i designatori (va qui limitato l’esame della
complessiva ricostruzione della vicenda Lazio alla partita con il Brescia).
La decisione impugnata prosegue conferendo carattere di centralità al colloquio telefonico
tra Carraro e Bergamo, avvenuto nel giorno immediatamente antecedente alla gara, che
sarebbe stato rivolto ad ottenere un trattamento arbitrale di favore per la Lazio (sia pure
senza indebite penalizzazioni per l’altra squadra, nel senso che come era ovvio se fosse
stata più meritevole essa avrebbe dovuto vincere), come sarebbe emerso da una
conversazione tra gli stessi interlocutori, effettuata l’indomani della gara, in cui il primo
lamentava un errore tecnico dell’arbitro Tombolini che non avrebbe concesso un rigore
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alla Lazio e rinnovava la richiesta di attenzione verso la società cui “bisogna dare una
mano”.
Veniva dai primi giudici ulteriormente sottolineato che, nel corso della seconda telefonata,
Bergamo, consapevole dell’errore compiuto dall’arbitro Tombolini, prometteva a Carraro
che, anche se “la cosa era preparata bene e non è riuscita bene… questa è la verità e
quindi lui paga di persona” e, comunque, che in seguito si sarebbe recuperato.
La Commissione traeva poi ulteriori elementi di conferma circa l’effettivo interessamento di
Carraro alle sorti della Lazio dal colloquio tra Bergamo e Mazzini, mentre valorizzava, in
altra prospettiva, la conversazione telefonica, dall’acceso tono recriminatorio, del primo
con Tombolini, al termine della gara Lazio-Brescia, per il rigore non concesso alla squadra
romana e per non aver preso “le occasioni” che aveva.
La Commissione poneva, infine, in rilievo che, nella specifica vicenda adesso in esame,
Mazzini avrebbe svolto un ruolo solo successivo allo svolgimento della gara e di mero
mandatario di Lotito, con la sua conseguente responsabilità per l’omissione di denuncia
dell’illecito posto in essere da Lotito e Carraro, addebitato anche alla Lazio.
Ciò premesso, la Corte rileva che, mentre è immune da censure la ricostruzione della
cornice fattuale concernente l’incolpazione in parola ed è completo l’esame del materiale
probatorio, i fatti stessi sono suscettibili di diversa interpretazione e qualificazione, con
differenti esiti di giudizio rispetto a quelli scaturiti dalla prima decisione ed espressamente
contestati negli appelli degli incolpati.
Va subito detto che concorre alla riforma della statuizione in esame anche il materiale
probatorio prodotto nel corso del dibattimento svoltosi davanti la Corte, che ha acquisito
copia delle dichiarazioni rese il 12 luglio 2006 dall’arbitro Tombolini all’Ufficio indagini della
FIGC, in merito alla gara Lazio-Brescia.
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Egli ha, in particolare, dichiarato di aver interpretato la richiesta di Bergamo di prestare la
massima concentrazione per la direzione della partita come una semplice
“raccomandazione di carattere squisitamente tecnico”, tenuto conto che si trattava di una
gara difficile.
Lo stesso Tombolini ha pure escluso che Bergamo gli avesse mai detto che in relazione
alla gara vi fosse un interesse anche di Carraro.
Va, infine, posto nel debito rilievo che sempre Tombolini, a proposito del suggerimento
ricevuto da Bergamo, di mettersi “sulla lunghezza d’onda giusta”, abbia dichiarato di aver
percepito la frase come sottolineatura della necessità della massima concentrazione nella
direzione della gara.
Analogamente, come mero commento tecnico, Bergamo contestò a Tombolini la mancata
concessione di un rigore a favore della Lazio, del quale l’arbitro ha candidatamene
ammesso di non essersi accorto.
Riguardo a tali dichiarazioni non vi è prova della loro inattendibilità o di possibili contrasti
con altri elementi acquisiti agli atti.
Ciò premesso, in via preliminare non può che ribadirsi l’assoluta affidabilità
dell’orientamento che ha informato la CAF nella individuazione degli elementi necessari
per la configurazione dell’illecito sportivo, ed in particolare di quello consistente nella
consapevole e proficua partecipazione al disegno illecito della componente arbitrale,
senza la quale il precedente segmento progettuale, come visto a proposito di singole gare
della Juventus, e come si vedrà anche a proposito di gare della Fiorentina, resta privo di
rilevanza causale ai fini del raggiungimento del risultato dell’alterazione della singola gara.
Ora, nel caso di specie, vi è un primo elemento di innegabile significatività che balza agli
occhi, e cioè che, a differenza di tutti gli altri deferimenti (ad eccezione di Lazio-Fiorentina
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di cui si dirà oltre) per illecita alterazione del risultato di una gara attraverso la direzione
arbitrale, l’arbitro non viene chiamato a rispondere dell’illecito, la sua prestazione non
viene prospettata come efficiente allo scopo vietato e non viene nemmeno menzionata né
la sua consapevolezza dell’accordo frodatorio, né, tanto meno, la sua adesione ad esso.
E le dichiarazioni di recente rese da Tombolini all’Ufficio indagini non contribuiscono, come
appena visto, in alcun modo a far mutare la situazione, consolidando, piuttosto, la
convinzione della sua totale estraneità a qualunque disegno illecito e quella che egli abbia
commesso un involontario errore tecnico nel corso della gara e non un tradimento di
qualsivoglia – nè dedotto, né provato dall’accusa – impegno a falsare l’andamento della
stessa a vantaggio della Lazio.
A questa stregua, non è logicamente concepibile un articolato disegno illecito in cui
manchi del tutto la partecipazione arbitrale ad esso, e non sia nemmeno immaginata nella
stessa formulazione dell’atto di accusa (in cui non viene nemmeno citato il nome
dell’arbitro): la coerente conseguenza di tale constatazione è quella dell’impossibilità di
ritenere provata la commissione di un illecito ex art. 6 CGS, monco, sin dall’origine, del
suo essenziale segmento conclusivo.
Ed invero, mentre è assolutamente innegabile l’esistenza di un accordo bilaterale tra
Carraro e Bergamo volto a garantire una speciale attenzione al trattamento che avrebbe
dovuto ricevere la Lazio (che nel recente passato aveva ufficialmente lamentato, sin dal 25
gennaio precedente, al Presidente Federale gravi ingiustizie arbitrali e sollecitato un
intervento di riequilibrio e di prevenzione di ulteriori torti), in modo che non si
perpetuassero lagnanze e si placassero le notevoli tensioni ambientali, appare verosimile
che tale intesa telefonica non possedesse l’attitudine ad alterare il risultato della gara
Lazio-Brescia.
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E ciò, dal punto di vista oggettivo, per la ragione, prima illustrata, secondo cui il difetto del
segmento arbitrale esclude efficacia causale a qualunque accordo in ipotesi fraudolenta,
e, dal punto di vista soggettivo, perché – come rilevato in precedenza - non vi è alcuna
prova che Carraro agisse per scopi diversi da quelli istituzionali di garantire il regolare
andamento del campionato, che avrebbe potuto essere turbato dalla prosecuzione di errori
arbitrali ai danni della Lazio.
Questo non esclude che la valutazione dei comportamenti sia di Lotito, in quanto tesi al
tentativo di modifica di un trend arbitrale sfavorevole alla Lazio attraverso la combinazione
di pubbliche denunce e di privati interventi indiretti presso i designatori arbitrali, che di
Carraro, in quanto posti in essere attraverso un canale informale e non trasparente presso
uno solo dei designatori, piuttosto che per il doveroso tramite dei competenti organi
federali preposti ad una ufficiale valutazione tecnica dell’operato arbitrale e suscettibile di
ingenerare la convinzione (che di fatto sembra essere maturata) in Bergamo che alla
telefonata del Presidente Federale occorresse dare un qualche seguito effettuale in termini
di irrobustimento della posizione della Lazio nella considerazione arbitrale, ricadono
pienamente nel dominio dell’art. 1 CGS.
Ne consegue la responsabilità diretta allo stesso titolo della Lazio e quella ex art. 1 CGS di
Mazzini, il cui comportamento omissivo va, per effetto della diversa qualificazione dei fatti
oggetto dell’originaria incolpazione, valutato non più come omessa denuncia di un illecito
ormai giudicato insussistente, ma come sintomo inequivocabile e serio di slealtà,
scorrettezza ed assenza di senso di probità.
* * *
Quanto alle sanzioni, viene, in primo luogo, in rilievo la posizione di Lotito, del quale va
considerata con carattere di preponderanza la condizione apicale e rappresentativa della
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società, che gli avrebbe imposto un comportamento esemplare anche per le negative
ricadute di immagine, sia agli occhi dei dipendenti che dei sostenitori, che disinvolti
comportamenti, pressanti e pretensivi, avrebbero – ed hanno in effetti – potuto
prevedibilmente produrre.
Ad attenuare parzialmente la negativa valutazione della condotta in esame può solo
contribuire la almeno putativa convinzione di agire per l’eliminazione di ingiustizie e danni
per la propria società.
Appare equa la pena di 2 anni e 6 mesi di inibizione e di 30.000 euro di ammenda.
Circa la posizione della Lazio, responsabile diretta dell’operato del proprio Presidente, la
sanzione deve tener conto adeguatamente delle considerazioni prima svolte ed essere
determinata, alla luce di un non effimero carattere afflittivo sia sul piano puramente
sportivo, che su quello economico, nella penalizzazione di 30 punti nel campionato 2005-
2006, in 11 punti di penalizzazione nel campionato 2006-2007, nella squalifica del campo
di gara per 2 giornate di campionato ed in 100.000 euro di ammenda.
Alla luce di quanto sopra, valutata in ottica diversa, suffragata anche dai nuovi elementi di
prova, la rilevanza del comportamento tenuto dal Carraro, è necessario riformare la
decisione impugnata resa in prime cure e giusta sanzione appare essere quella
dell'ammenda (di euro 80.000), gravata da diffida quale monito ad attenersi, per il futuro,
ad una più oculata osservanza dei doveri deontologici.
* * *
La posizione di Mazzini verrà trattata allorché sarà completo l’esame delle incolpazioni che
lo riguardano.
 
SECONDO GRADO ACF FIORENTINA

E - Posizione della A.C.F. Fiorentina S.p.a., di Andrea Della Valle, di Diego Della
Valle, di Sandro Mencucci, di Innocenzo Mazzini, e di Massimo De Santis
La decisione impugnata si è dedicata approfonditamente ai deferimenti conseguiti alle
gare Bologna-Fiorentina, Chievo Verona-Fiorentina, Fiorentina-Atalanta, Lazio-Fiorentina
e Lecce-Parma della stagione sportiva 2004-2005, disputatesi tra il 24 aprile ed il 29
maggio 2005, ed accomunate dalla circostanza che Andrea Della Valle, Diego Della Valle,
Sandro Mencucci, Innocenzo Mazzini si sarebbero adoperati presso Paolo Bergamo per
ottenere arbitraggi favorevoli alla Fiorentina e, quindi, l’alterazione dei risultati delle gare.
Degli illeciti contestati venivano chiamati a rispondere, oltre la società a titolo sia oggettivo
che diretto, Paolo Bertini, Paolo Dondarini, Pasquale Rodomonti e Massimo De Santis,
rispettivamente arbitri delle gare della squadra col Bologna, col Chievo Verona, con
l’Atalanta e di Lecce-Parma.
I primi giudici hanno ripercorso cronologicamente le tappe delle varie incolpazioni,
individuando, alla luce delle considerazioni svolte nell’atto di deferimento, la genesi dei
comportamenti addebitati alla società toscana ed ai suoi dirigenti e soci.
In sintesi, il presupposto delle condotte oggetto di deferimento appare costituito dalla
volontà della proprietà Della Valle di reagire all’ostilità che essi credevano di avvertire
nell’ambiente calcistico nei confronti della propria squadra, verso cui lamentavano iniqui
trattamenti arbitrali, stabilendo contatti, anche attraverso il consigliere esecutivo Mencucci,
con dirigenti federali, designatori arbitrali e dirigenti di altre società.
Anche nel caso della Fiorentina – come in quelli esaminati della Lazio e del Milan, di cui si
dirà oltre, ed a differenza della Juventus, in cui, di fronte ad un’unica contestazione circa la
direzione di una gara, Moggi decise di farsi giustizia direttamente da sé, senza attendere o
impetrare interventi altrui, a dimostrazione di una posizione di prepotere, che, negli altri
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casi sarebbe stata, secondo le affermazioni degli interessati, del tutto mancante - l’origine
dei contatti di cui si discute, è recriminatoria e muove dal deplorato arbitraggio della partita
Fiorentina-Messina del 17 aprile 2005, conclusasi in pareggio grazie ad una rete segnata
al sesto minuto di recupero dalla squadra siciliana ed a seguito dell’espulsione di un
calciatore fiorentino, che aveva protestato contro l’eccessiva misura del recupero
giudicato sproporzionato a quanto si era verificato nel corso della gara.
Quattro giorni dopo detta gara, Andrea Della Valle e Mencucci chiamarono Mazzini per
esprimere le proprie doglianze e prospettarono la necessità di un “aiuto” per evitare la
paventata retrocessione.
L’esito della telefonata fu che il Vice-Presidente Federale escluse che della questione si
potesse parlare per telefono, suggerendo un incontro con Bergamo.
Così identificata la genesi dei comportamenti dedotti nell’atto di incolpazione, la
Commissione ha concentrato il proprio giudizio su ciascuna delle gare incriminate,
pervenendo a conclusioni separate.
La Corte, reiterata la premessa storica prima illustrata, che è frutto della lettura della
trascrizione della conversazione telefonica del 22 aprile 2005, riproporrà il modello di
analisi seguito dai primi giudici e, quindi, di esame separato di ciascuna delle gare, così
pronunciando sulle impugnazioni, di volta in volta, proposte dagli interessati o dalla
Procura federale.
La CAF ha ritenuto che non fossero stati raccolti sufficienti elementi di prova della
commissione degli illeciti contestati riguardo alle gare Bologna-Fiorentina e Fiorentina-
Atalanta.
La Corte ritiene che entrambe le statuizioni siano perfettamente condivisibili e meritevoli di
conferma, con conseguente rigetto dell’impugnazione della Procura federale.
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Ed invero, esse sono assolutamente conformi al metro di giudizio applicato, in via di
principio, dai primi giudici – e da questa Corte ritenuto immune da vizi logici ed errori
giuridici – secondo cui gli atti alternativamente diretti alla realizzazione della triplice
categoria di illeciti, prevista dall’art. 6, debbono rivelare una concreta idoneità causale ed
attraversare tutta la serie di apporti necessari per il raggiungimento dello scopo, toccando,
quindi, sia i dirigenti delle società interessate, che i designatori arbitrali, che gli arbitri
destinati alla direzione tecnica della gara, della cui consapevolezza e fattiva
partecipazione al piano occorre emerga, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova.
Ora, con riferimento alla prima delle due gare in questione, è evidente che nessun
elemento provi né che la prima telefonata tra Mencucci e Mazzini, avvenuta
successivamente alla designazione dell’arbitro Bertini, fosse rivolta allo scopo fraudolento
contestato (essendosi limitato il secondo a parlare dell’arbitro come “grande amico”, anche
se non sempre favorevole, in passato, alla Fiorentina, ed avendo espresso il mero
auspicio, non accompagnato né da promesse, né da preannuncio di interventi volti al
condizionamento, che l’atteggiamento potesse mutare) né che la seconda, successiva alla
gara, rivelasse qualcosa di diverso dalla constatazione che si era trattato di partita del tutto
priva di eventi emozionanti negli ultimi minuti (così ben si può spiegare, secondo logica e
buon senso, la frase una “vergogna nazionale”).
Del resto, è stato esattamente osservato dai primi giudici che la gara stessa non ha offerto
alcun aspetto di controversia, quanto alla direzione arbitrale.
Analoghe considerazioni debbono valere per la successiva gara Fiorentina-Atalanta, del
15 maggio 2005, conclusasi, come la precedente, con il punteggio di 0-0, ed arbitrata da
Pasquale Rodomonti.
Ancora una volta, il colloquio telefonico tra Mencucci e Mazzini (significativo, ai fini della
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valutazione comparata con la successiva gara Lecce-Parma, che l’intervento del primo si
sia sempre limitato ad osservazioni o commenti generali e non si sia mai spinto a pressioni
o concreti tentativi di condizionamento, che erano, invece, lasciati a Diego Della Valle,
vero titolare dell’interesse in giuoco e dotato di poteri ed autorevolezza effettivi nei
confronti dei suoi interlocutori, a dispetto della ridotta posizione formale in ambito
societario) anteriori alla gara, non depone, in alcun modo, nel senso del compimento di atti
diretti alla sua alterazione, essendosi il dirigente fiorentino limitato ad esprimere un
giudizio di scetticismo sulle sorti della partita (“però ci vogliono male” e “più cattivi di così”).
Né l’andamento della gara, dal punto di vista tecnico-arbitrale, ha suscitato apprezzabili
proteste o plausibili critiche.
In conclusione, è da escludere la fondatezza dell’accusa in questione.
* * *
La Corte ritiene che debba escludersi ogni responsabilità a carico dei deferiti, a vario titolo,
in relazione alla gara Lazio-Fiorentina, del 22 maggio 2005, rispetto alla quale l’atto di
deferimento prospetta un primo illecito consistente nella proposta di accomodamento, con
un pareggio concordato, della gara rivolta telefonicamente, un mese prima della stessa, da
Diego Della Valle a Lotito, e da questo rifiutato (e non denunciato), ed un secondo illecito,
ascritto ai fratelli Della Valle ed a Mencucci, avente ad oggetto i loro interventi, attuati col
sostegno di Mazzini, presso Bergamo per ottenere un arbitraggio favorevole alla
Fiorentina, in modo da realizzare l’alterazione del risultato della gara a favore della
società.
La Corte ritiene, infatti, che, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuta, sulla gara in
questione, la decisione impugnata, non sia stata raggiunta la prova sicura e chiara della
commissione degli illeciti contestati, come fondatamente dedotto nell’impugnazione degli
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incolpati.
Va, in primo luogo ed incidentalmente, posto nel debito rilievo che l’arbitro di questa gara,
Roberto Rosetti, non figura tra i deferiti, sebbene la ragione sia stata dal Procuratore
Federale semplicemente ravvisata nel mancato compimento dell’istruttoria preliminare: la
Corte non può, tuttavia, mancare di sottolineare che, quale che possa essere stata la
ragione contingente del mancato deferimento di Rosetti, la circostanza indebolisce in
modo molto serio il telaio accusatorio, perché fa mancare ad esso, anche in termini di
ipotetica prospettazione della connivenza arbitrale (di fatto nemmeno adombrata), quel
fondamentale segmento tecnico che costituisce un caposaldo del metodo di giudizio
sempre utilizzato nel presente procedimento come stella polare delle valutazioni di questa
Corte.
Sempre in via preliminare, va aggiunto che dal presente procedimento è stato estromesso,
in primo grado, per sopravvenuta carenza di giurisdizione conseguente alle dimissioni
rassegnate dopo il deferimento, Cosimo Maria Ferri, inizialmente rinviato al giudizio
disciplinare per non aver denunciato la proposta di aggiustamento della gara della quale
sarebbe stato informato, in virtù dei particolari rapporti di conoscenza con Lotito: è venuto,
così, a mancare al processo un prezioso contributo probatorio.
Ciò premesso, si osserva che il fondamentale elemento di prova quanto al primo illecito
(che coinvolge oltre i dirigenti fiorentini, Lotito e la Lazio) è costituito da una telefonata,
avvenuta in data imprecisata, ma certamente anteriore al 22 aprile 2005, tra Diego Della
Valle e Lotito, che avrebbe avuto ad oggetto la combinazione illecita del risultato della
gara destinata ad essere disputata il 22 maggio successivo, come sarebbe possibile
desumere da due colloqui telefonici tra Lotito e Mazzini del 22 aprile 2005 (alla presenza
di Ferri, che, anzi, iniziò la conversazione per conto del primo) e tra quest’ultimo ed il
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segretario Renzi dell’indomani.
Ora, da questi colloqui indiretti non possono dedursi elementi univoci e certi che la
telefonata tra Diego Della Valle e Lotito fosse rivolta ad acquisire il consenso del secondo
ad una non meglio definita, negli aspetti essenziali, “combine”.
Si consideri, infatti, che:
1) dal punto di vista logico, è arduo supporre che una proposta fraudolenta venga
avanzata con così largo anticipo (almeno un mese) rispetto all’evento, in un momento in
cui non era minimamente prevedibile quale sarebbe stata la posizione in classifica delle
squadre e se, quindi, sarebbe stato ancora attuale l’interesse reciproco all’accordo illecito;
2) nessun brano delle due telefonate (Lotito-Mazzini e Mazzini-Renzi) contiene il minimo
riferimento all’oggetto ed alle modalità del presunto accordo: si ignora, infatti, se la frode
consisteva nell’aver trattato un pareggio o un altro risultato;
3) manca, altresì, qualunque riferimento, anche indiretto o congetturale, al movente o
all’utilità dell’iniziativa o alla sua remunerazione;
4) la qualificazione, data da Lotito, di proposta “oscena” o da “bandito” è insufficiente a
connotare in senso fraudolento, e con riferimento alla gara in questione, la asserita
richiesta di Diego Della Valle, alla luce delle carenze logiche e probatorie prima indicate;
5) è rimasta del tutto incontestata, e, quindi, insuperata la spiegazione fornita da Lotito
tanto all’Ufficio Indagini, quanto nel corso del dibattimento di primo grado, secondo cui la
proposta avrebbe avuto ad oggetto i criteri di ripartizione dei diritti televisivi, questione in
quel momento aperta e controversa tra i dirigenti calcistici italiani;
6) non si spiegherebbe, in ogni caso, la reticenza di Lotito a denunciare l’eventuale
proposta illecita, tenuto conto che egli l’avrebbe rifiutata ed anche della sua manifesta
ostilità nei confronti di Diego Della Valle che traspare nel corso del colloquio con Mazzini.
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La Corte è, quindi, dell’avviso che non possa ritenersi provato il primo episodio di illecito,
con conseguente proscioglimento di tutti gli incolpati e di riforma, sul punto, della decisione
impugnata.
A non dissimili conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento al secondo illecito
prospettato, che allude ad un articolato piano in vista del raggiungimento dell’obiettivo
dell’alterazione del risultato della partita affidato all’interazione tra i fratelli Della Valle,
Mencucci, Mazzini e Bergamo.
Ed infatti, fermo restando quanto prima detto circa l’assenza del segmento arbitrale nel
contesto probatorio, le numerose conversazioni telefoniche poste a fondamento della
pronuncia di affermazione di responsabilità (che riguardano, oltre che gli incolpati, anche
Moggi, a conferma della centralità del ruolo di quest’ultimo nel sistema calcistico italiano
ed anche per vicende estranee alla Juventus, ma relative a società, come la Fiorentina,
con la quale quella torinese doveva risolvere delicati rapporti di comproprietà delle
prestazioni atletiche di calciatori: cfr., sul punto, la telefonata Mazzini-Giraudo del 26
aprile 2005) non sono adeguate alla dimostrazione concludente che fossero stati posti in
essere atti concreti e specifici volti all’alterazione del risultato della gara.
Si tratta, infatti, di conversazioni genericamente imperniate sulle preoccupazioni di
classifica della Fiorentina e sulla necessità che la squadra si salvasse dalla retrocessione.
Ma nulla in esse è detto circa le concrete misure che sarebbero state illecitamente ideate
o poste in essere per assicurare la riuscita del piano o circa i soggetti che ne avrebbero
dovuto essere protagonisti, ovvero attori, o circa i mezzi fraudolenti pensati per conseguire
lo scopo.
Né a colmare l’insufficienza probatoria può, ad avviso della Corte, soccorrere la telefonata
tra Bergamo e Mazzini, successiva alla gara, in cui il primo, commentando un episodio di
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giuoco gravemente penalizzante per la Fiorentina, esclamò che “tutto era sistema …
sistemato .. non sistemato … pilotato … pilotato!”, trattandosi di parole non chiaramente
riferibili ad un soggetto ben identificato (sistemazione e pilotaggio della designazione, o
del sorteggio, o della direzione di gara?) né imputabili ad un soggetto con certezza
individuato (l’arbitro ? i dirigenti delle società ?).
A questa stregua, non soltanto non v’è prova sufficiente della commissione dell’illecito, ma
deve anche escludersi che le condotte degli imputati possano assumere – come, invece,
avvenuto nella gara Lazio-Brescia in cui erano espliciti i riferimenti alla designazione
arbitrale – rilievo ai sensi dell’art. 1, se non con riferimento alla posizione di Mazzini
(tenuto conto del suo ruolo di Vice-Presidente Federale che gli avrebbe dovuto impedire
contatti impropri con tesserati e società) sul cui trattamento sanzionatorio si pronuncerà al
termine dell’esame di tutte le incolpazioni rivoltegli.
* * *
La CAF ha ritenuto provate tutte le accuse d’illecito formulate con riguardo alla gara
Chievo Verona-Fiorentina dell’8 maggio 2005 e concernenti, come già ricordato, Diego
Della Valle, Andrea Della Valle, Sandro Mencucci, Innocenzo Mazzini e l’ACF Fiorentina
SpA per condotte tendenti all’alterazione della gara e l’arbitro Paolo Dondarini per avere
ricevuto ed accolto da Bergamo indicazioni e direttive specifiche circa il comportamento da
tenere nel corso della stessa allo scopo di garantire un arbitraggio favorevole alla società
toscana.
I primi giudici hanno conferito peso determinante a colloqui telefonici intercorsi tra i vari
incolpati (ad eccezione di Dondarini), che avrebbero avuto valore preparatorio del risultato
illecito auspicato, e ad un colloquio telefonico, di poco posteriore alla gara avvenuto tra il
Presidente Lanese ed un giornalista, di commento negativo della prestazione dell’arbitro,
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al quale, secondo lo stesso giornalista, sarebbero stati “mandati segnali”.
Ora, la Corte ritiene, in accoglimento dell’appello degli incolpati, che manchi la prova
sufficiente della commissione dell’illecito di cui si discute, fatte salve le precisazioni che
seguono relativamente alla prospettabilità di condotte sanzionabili ex art. 1 C.G.S.
In particolare, il giudizio di inadeguatezza probatoria deriva, in modo preponderante,
dall’impossibilità di ritenere accertata la sussistenza del segmento tecnico.
Ed infatti, nulla prova, né consente il sospetto, che l’arbitro Dondarini fosse stato messo al
corrente dell’altrui disegno illecito, che vi avesse prestato, in qualsiasi forma, adesione,
che egli abbia improntato a favoritismo verso la Fiorentina la propria direzione di gara, che
il presunto (solo alla stregua di una malevola conversazione telefonica tra terzi) errore
tecnico fosse viziato da dolo, né che fosse stato raggiunto da qualsivoglia “segnale”.
Mancando, per le ragioni appena esposte, il segmento arbitrale – ciò che, ovviamente,
comporta il proscioglimento di Dondarini dall’incolpazione per la quale è stato deferito, con
conseguente riforma sul punto della decisione impugnata – viene, come effetto naturale,
irrimediabilmente incrinata la prospettata struttura dell’illecito addebitato alle altre persone
deferite, ai cui atti deve disconoscersi la necessaria efficacia causale al raggiungimento
dello scopo.
Ed invero, le varie conversazioni telefoniche svoltesi nei giorni immediatamente precedenti
la partita avevano, ancora una volta, carattere generico ed alludevano sempre alla
necessità che la Fiorentina si sottraesse all’incombente pericolo di retrocessione.
Ma in nessuna di esse si parlava di interventi volti ad influenzare la designazione arbitrale;
né vi sono, negli atti del processo, colloqui concernenti la designazione concretamente
avvenuta o prove di interventi presso l’arbitro.
Altrettanto generica si rivela la telefonata, post gara, tra Mencucci e Mazzini in cui
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verosimilmente si definisce “fallo di confusione” quello che non sarebbe stato fischiato
dall’arbitro in area di rigore della Fiorentina: nulla prova che tale riferimento implicasse la
mala fede o la connivenza di Dondarini, potendosi ragionevolmente presumere che
l’affermazione fosse il prodotto dell’euforia per la vittoria della squadra di Mencucci.
La Corte ritiene, tuttavia, uniformandosi al ragionamento già posto a supporto di decisioni
relative a fattispecie analoghe, presenti in questo procedimento, che le condotte di tutti gli
incolpati (ad eccezione, ovviamente, di Dondarini, la cui posizione appare assolutamente
tersa e lontana da ombre di qualsiasi natura), rivelatrici di impropri, inopportuni ed
eccessivamente confidenziali rapporti telefonici tra soci e dirigenti di una società ed il Vice
Presidente Federale (che avrebbe dovuto essere garante della terzietà ed imparzialità
della federazione, piuttosto che attivo sostenitore di una delle società affiliate e propulsore
di ulteriori contatti tra Diego Della Valle ed uno dei designatori arbitrali) non possano non
riverberare, nell’ottica dell’articolo 1, per la loro carica di slealtà e scorrettezza.
In questo senso ne va, pertanto, riqualificata la condotta ed affermata la responsabilità,
con rinvio della determinazione del trattamento sanzionatorio al termine dell’esame di tutte
le incolpazioni relative alla Fiorentina.
La CAF ha infine, giudicato dell’illecito contestato, con riferimento alla gara Lecce – Parma
del 29 maggio 2005, a Diego Della Valle, Andrea Della Valle, Sandro Mencucci, l’A.C.F.
Fiorentina S.p.A. a titolo di responsabilità diretta, oggettiva e presunta, Innocenzo Mazzini
e Massimo De Santis (arbitro della gara) per avere i dirigenti della società (Diego Della
Valle in prima persona o tramite il fratello o tramite Mencucci) avviato e coltivato contatti
(oltre che tra Moggi e Bergamo, il primo non incolpato per la gara in questione, il secondo
estromesso dal giudizio per difetto di giurisdizione) con Mazzei e Bergamo allo scopo di
ottenere il vantaggio della permanenza della squadra in serie A anche grazie
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all’alterazione del risultato della gara in questione, in virtù della designazione di un arbitro
(De Santis) che scongiurasse la vittoria del Parma (pregiudizievole alla Fiorentina).
Al Mazzini veniva addebitato di essersi reso parte attiva e protagonista del consolidamento
dei rapporti dei dirigenti fiorentini con Bergamo in vista del conseguimento dello scopo in
precedenza enunciato ed al De Santis di essersi conformato alle indicazioni e direttive di
Bergamo circa il comportamento da tenere nella direzione della gara in modo da impedire
la vittoria del Parma e favorire la permanenza della Fiorentina in serie A in virtù della
classifica avulsa.
L’argomentata pronuncia di affermazione di responsabilità va confermata quanto alla
posizione di Diego Della Valle, Innocenzo Mazzini e Massimo De Santis, mentre
Mencucci ed Andrea Della Valle vanno dichiarati responsabili solo ai sensi dell’art. 1, con
conseguente affermazione di responsabilità semplicemente oggettiva e presunta della
società Fiorentina.
Prima di procedere alla valutazione del materiale probatorio, analiticamente passato in
rassegna dai primi giudici, è necessario mettere a fuoco il contesto nel quale ebbe luogo
l’episodio conclusivo della serie di accuse mosse alla società ed ai suoi dirigenti: si tratta
di verifica indispensabile al fine di individuare ruoli, interessi e responsabilità differenti tra i
vari incolpati e di qualificare le rispettive condotte secondo gli appropriati parametri.
A questo proposito, va ripreso il tema della genesi degli interventi orientati al
raggiungimento per la Fiorentina di una tranquilla posizione in classifica di cui si è discorso
all’inizio di questo capitolo della decisione.
Una volta avviato il canale di diretta comunicazione con Mazzini da parte di Andrea Della
Valle e Mencucci, che gli si erano rivolti per denunciare torti arbitrali subiti e prevenirne di
nuovi, il Vice Presidente Federale, interessato a consolidare la propria posizione di potere
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personale e, soprattutto, ad ostentarla, agli occhi degli interlocutori, nei cui confronti
intendeva acquisire concrete ragioni di credito, prendeva direttamente in mano la
situazione, scandendo tempi e modalità di intervento ed aggregando alla sua opera, come
pedina essenziale, il designatore Bergamo.
Da quel momento Mazzini e Bergamo, resisi conto della grave situazione sportiva nella
quale versava la Fiorentina e dell’allarme che essa suscitava nella proprietà Della Valle,
concertavano ogni mossa, esigendo, però, che le loro interlocuzioni avvenissero al
massimo livello e cioè con Diego Della Valle, di fatto esautorando dal circuito decisionale
anche il fratello Andrea e riducendo sensibilmente il ruolo di Mencucci ad un rango
inautonomo e non impegnativo, se non addirittura – come si dirà tra breve –
esautorandolo.
Della strategia stipulata tra Mazzini e Bergamo si ha agevole contezza attraverso il loro
colloquio telefonico delle 20,28 del 2 maggio 2005 (prog. 7417), nel corso del quale
Mazzini riferisce al designatore del precedente colloquio con Diego Della Valle, al quale
aveva detto che della “delicata questione” che gli stava a cuore si poteva parlare solo tra
“persone vere”, includendo tra le stesse oltre che loro due anche – come si arguisce senza
dubbio dallo scambio di battute tra Mazzini e Bergamo – il designatore arbitrale.
Il Vice Presidente Federale ed il designatore arbitrale concordavano, quindi, di “blindare” i
loro incontri con Diego Della Valle attraverso una “conventio ad excludendos omnes alios”.
A conferma della necessità di chiudere il trilatero e dell’adesione anche di Diego Della
Valle alla strategia, arrivava pochi minuti dopo (ore 21,13 del 2 maggio 2005, prog. 2446)
la telefonata di questo a Bergamo, nel corso del cui svolgimento il Presidente onorario
della Fiorentina faceva cenno ad “Innocenzo” come possibile tramite di un incontro tra loro
(“prendere un caffè”), e riceveva l’assenso di Bergamo a condizione di non estendere ad
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altri l’invito (cfr. pag. 299 dell’informativa di reato del 2 novembre 2005 del Comando
Provinciale dei C.C. di Roma), se non al massimo al fratello Andrea, perchè “qualcun’altro
forse millantavano conoscenze eccessive” (ib. pag. 300).
Diego Della Valle continuava a tenere personalmente e direttamente i colloqui di più alto
livello (e, quindi, presumibilmente decisivi), quale quello con Moggi alle ore 15,53 del 18
maggio 2005 (prog. 2902), nel quale si affrontava, ancora una volta, l’angoscioso tema
della salvezza della Fiorentina (e si ricordi che col Presidente della Lazio è pacifico che
parlò, comunque, Diego Della Valle in quanto lo riteneva di pari grado nella sostanza).
Inframmezzate a queste conversazioni ve ne sono di minori, quali quella effettuata da
Mencucci, senza alcun grado di autonomia e senza riferimento agli accordi programmatici
a tre Diego Della Valle, Mazzini e Bergamo (della cui compiuta conoscenza da parte sua
non v’è prova sufficiente, mancando espressi riferimenti ad essi ed alla loro natura
riservata ed esclusiva da parte dello stesso Mencucci) e, soprattutto, senza il diretto,
fondamentale interesse patrimoniale alla tutela del bene sociale da lui detenuto, di cui era
portatore Diego Della Valle.
Che Mencucci non fosse informato dei rapporti diretti tra Diego Della Valle e Bergamo, è
dimostrato dal fatto che il consigliere delegato parlando al telefono con Mazzini il 6
maggio 2005 accennasse che il Presidente onorario avrebbe dovuto chiamare il
designatore, ignorando che il colloquio tra i due era già avvenuto ben 4 giorni prima.
Peraltro, i colloqui che riguardano Mencucci e, in misura forse anche più significativa,
Andrea Della Valle, non hanno mai esibito un apprezzabile livello di induzione all’illecito o
di proposta (o suo rassodamento) di illecito rivolto per alcuna gara a Mazzini e si
limitassero a generiche espressioni di auspicio (o, dopo Parma – Lecce, di giubilo) per le
sorti della squadra.
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Prova, questa, che il Mencucci non poteva accedere al più alto soglio decisionale e che i
rapporti col designatore Bergamo erano riservati solo a Diego Della Valle.
Il programma illecito concepito nelle sue linee generali agli inizi di maggio 2005 – e
destinato all’implementazione, appena se ne fosse presentata l’occasione, tra Diego Della
Valle, Bergamo e Mazzini e genericamente orientato, senza predeterminazione di specifici
mezzi o di particolari condotte, costituenti gli “atti diretti” di cui all’art. 6 C.G.S., alla
salvaguardia della posizione in classifica della Fiorentina - finalmente si perfeziona e si
traduce nella predisposizione degli acconci comportamenti atti a conseguire lo scopo
attraverso l’alterazione di gare per effetto dell’influenza esercitata sia nella fase di
designazione arbitrale che sull’arbitro sorteggiato in occasione della gara conclusiva della
stagione 2004 / 2005, Lecce – Parma, dal cui esito, in concorso con i risultati di altre tre
gare, sarebbe potuta dipendere la permanenza in serie A della Fiorentina (ed in particolare
dalla mancata vittoria della squadra emiliana).
Fu, appunto, in quella occasione che il piano di Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini, che
dà vita all’antecedente logico della vicenda che ci occupa, si articola per la prima volta in
forma completa ed efficace (e ciò si ricava per differenza rispetto a quanto è stato, invece,
negativamente accertato a proposito delle altre gare della Fiorentina analizzate nel
presente procedimento) e tende, riuscendovi, a chiudere il segmento arbitrale, attraverso
esplicite ed inequivoche interlocuzioni tra Bergamo e l’arbitro De Santis ad un paio di ore
dall’inizio della gara, la cui portata alteratrice è altrettanto certamente confermata dal
colloquio successivo alla gara tra lo stesso arbitro e Mazzini.
Quanto al coinvolgimento di De Santis nell’illecito ordito con mezzi, sia ex ante, che ex
post, rivelatisi congrui ed idonei dai tre incolpati ripetutamente menzionati, esso è provato
in primo luogo dalla conversazione delle 12,58 del giorno della gara con Bergamo (prog.
103
50317) nel corso della quale l’arbitro ripetutamente dice di avere spiegato “un po’ le cose,
velatamente” all’assistente Griselli, preannunciando che sarebbe stato lui a dare
“l’impostazione” alla partita, mettendosi “in mezzo”.
Si tratta di un linguaggio del tutto insolito rispetto ad un normale colloquio di natura tecnica
con un designatore, in cui è insistito il richiamo di De Santis alla necessità di imprimere
una vigorosa impronta personale alla partita, governandola con la “testa” e sintomatico il
riferimento alla “velata” spiegazione fornita ad uno degli assistenti, con il quale era in
confidenza (“sai posso parlà in un modo”).
Non è dato sapere, e l’incolpato, su cui sarebbe gravato l’onere non ha dedotto né fornito
la prova, se si trattasse di un genere di colloquio abituale con il designatore arbitrale e
rientrasse nella prassi invalza presso ogni direttore di gara.
Anche alla luce di questa singolarità, appare conforme a ragionevolezza leggere la
conversazione in chiave di rassicurazione fornita da De Santis a Bergamo circa i criteri ed
i fini cui avrebbe ispirato l’arbitraggio.
Ancora più sintomatica della totale immanenza di De Santis al disegno illecito è la
telefonata che egli ebbe, al termine della gara, con Mazzini.
Colpisce, innanzitutto, la fretta che indusse De Santis a precipitarsi, circa un’ora dopo la
fine della partita, a chiamare Mazzini, con il quale non era stato inizialmente in grado di
mettersi in contatto, riuscendo solo a raggiungere il suo segretario Mario Renzi (telefonata
delle 17,59 del 29 maggio 2005, prog. 10742), col quale rivelava tanta confidenza da
commentare la gara con un eloquente “eh?... una opera d’arte”.
Ma l’ansia dell’arbitro di parlare con Mazzini non si placava ed egli, ottenuto da Renzi un
numero che questi definiva “particolare”, si metteva in contatto con il Vice Presidente
Federale (telefonata delle 18,01 dello stesso giorno, prog. 19963) nel corso della quale tra
104
ironie del dirigente (che si presentava come Morfeo calciatore del Parma espulso tra le
proteste dall’arbitro, come emerge chiaramente dal filmato, che essendo stato prodotto
dalla difesa del De Santis, è stato visionato dalla Corte), battute grevi ed
autocompiacimento dell’arbitro” (“… io m’ero messo davanti col lavoro capito???....”, “qui è
andata bene…. ho fatto tre a tre”) e palesi ammiccamenti con l’interlocutore in ordine ad
un colloquio avuto al termine della gara con il direttore sportivo del Parma Cinquini, col
quale l’arbitro faceva inattendibilmente mostra di avere tenuto un atteggiamento imparziale
(sintomatico l’intercalare di risate dell’arbitro con Mazzini, allorché gli riferiva di aver detto
al dirigente parmense di aver ignorato durante la gara che, con il risultato di parità, si
sarebbe salvata la Fiorentina, ricevendo da questo di rimando la pronta e sbigottita replica
“ma come lo sapevano tutti in mezzo al campo ….”) e soddisfatta conclusione di Mazzini
(“…perfetto, perfetto”) si trae l’insuperabile conferma della chiusura del cerchio fraudolento
anche ex post.
Tornando alla qualificazione delle condotte degli altri incolpati, va osservato, a conferma
della centralità, insostituibilità, efficienza causale piena ed autonoma delle tre “persone
vere” (Mazzini, Bergamo e Diego Della Valle), tra loro legate da un patto di segretezza ed
esclusività, che a sminuire tale ruolo o ad aggiungere alla loro altre responsabilità non può
giovare l’incontro avvenuto tra gli stessi ed Andrea Della Valle e Mencucci (di cui ha
parlato nell’odierno dibattimento lo stesso Diego Della Valle con dichiarazioni che non
hanno, sostanzialmente, incontrato smentita).
Ed invero, non v’è alcuna prova dell’oggetto dell’incontro, né che esso fosse rivolto ad
allargare la cerchia dei protagonisti della realizzazione del progetto di salvezza sportiva
della Fiorentina, né che, data la incontroversa pubblicità del luogo, si prestasse di per sé a
fungere da piattaforma per accordi illeciti.
105
Tale incontro va trattato alla stregua dei contatti impropri e lesivi dei principi di correttezza
ed imparzialità, vietati dall’art. 1, già esaminati e soggetti a sanzione nei casi afferenti alla
Juventus.
Ora, tale incontro costituisce sintomo certo di una condotta inappropriata e scorretta e
come tale va trattata, a cagione del vulnus arrecato alla effettiva ricorrenza ed alla
necessaria apparenza dell’imparzialità dei titolari di funzioni di giudizio o di incidenza per
ragioni di ufficio su altrui posizioni soggettive.
Tuttavia, la relativa sanzione non può essere applicata a Diego Della Valle e Mazzini per
difetto della necessaria contestazione suppletiva rispetto a quella dell’art. 6 C.G.S..
Per converso, e per le ragioni a lungo esposte, l’intera partecipazione alla vicenda di
Andrea Della Valle e Mencucci non può appunto che essere qualificata come espressione
ripetuta e notevole della violazione dell’art. 1 C.G.S., dovendosi escludere che essi, per la
ristrettezza soggettiva del patto illecito e per la sostanziale irrilevanza dei loro interventi (di
assoluto interesse è che Mazzini e Mencucci si sentano solo dopo la partita Lecce –
Parma) rispetto al fine illecito concordato tra i “maiores” (che avevano concordato di
escluderli dall’accordo, nel dichiarato timore che qualcuno di loro potesse “millantare”)
possano essere giudicati responsabili ai sensi dell’art. 6 C.G.S..
Ciò porta alla conseguente affermazione della sola responsabilità oggettiva e presunta ex
art. 6 C.G.S. della A.C.F. Fiorentina, oltre che diretta ed oggettiva ex art. 1 in relazione
alle posizioni di Andrea Della Valle e Mencucci, con esclusione – per effetto della
riqualificazione “in melius” della condotta di Mencucci, titolare del potere di rappresentanza
della società, e di Andrea Della Valle – di quella diretta originariamente accertata in primo
grado.
Va, invece, confermata la colpevolezza, in relazione all’episodio in esame, di Diego Della
106
Valle e Mazzini nei termini risultanti dal deferimento, nonché quella, appena illustrata, della
società Fiorentina quale effetto necessario.
* * **
Venendo alla determinazione delle sanzioni, appare equo, per effetto dell’unicità
dell’episodio di illecito:
a) determinare la pena di Diego Della Valle, amministratore ed accomandatario della
società titolare della quota largamente maggioritaria della A.C.F. Fiorentina S.p.A., in tre
anni e nove mesi di inibizione e 55.000 euro di ammenda;
b) determinare in tre anni di inibizione e nell’ammenda di 35.000 euro quella a carico di
Andrea Della Valle, al quale residuano due affermazioni di responsabilità ex art. 1 C.G.S.
e su cui grava la violazione dei doveri inerenti alla carica di Presidente;
c) determinare in due anni e sei mesi di inibizione la sanzione a carico di Mencucci, per
effetto del minor ruolo svolto nei due episodi di responsabilità ex art. 1 C.G.S. e della sua
qualifica di dipendente (seppur elevata) della società.
Quanto alla società A.C. F. Fiorentina p.A., nell’erogazione della sanzione deve tenersi
conto:
1) della genesi della vicenda, che a differenza di altre relative ad incolpati differenti, non
poggia su una illecita volontà egemonica della società e dei suoi dirigenti, ma
sull’acclarata estraneità ad un modello corroborato di illeciti rapporti con le istituzioni
federali intrattenuti da soggetti circoscritti e noti e dalle loro società, dai quali erano sorti
effetti sportivi pregiudizievoli per società e soggetti fino ad allora estranei al sistema (nel
corso dei vari colloqui telefonici Mazzini spinge con molta enfasi Diego Della Valle ad un
abboccamento con Bergamo senza il quale il progetto salvifico per la Fiorentina sarebbe
stato verosimilmente votato all’insuccesso);
107
2) che, a seguito della ricezione del messaggio di Mazzini, Diego Della Valle, a differenza
di altri deferiti che trattavano con fare perentorio ed autoritario rappresentanti dalle
istituzioni e ne venivano incredibilmente blanditi piuttosto che contrastati o denunciati, in
vista di una ampia gamma di vantaggi conseguiti o conseguibili, non potè sottrarsi
all’instaurazione, invero ben più deferente e cerimoniosa, di un rapporto diretto con
Bergamo, il quale, a propria volta, fu chiamato e non chiamò, forte della necessità che
pressava Diego Della Valle a venire a patti con lui;
3) che non vi è prova che esistesse alcuna consuetudine di rapporti tra Diego Della Valle
ed i designatori arbitrali, tale, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, da influenzare in
forma costante e stabile le designazioni e le direzioni di gara relative ad una determinata
squadra;
4) che l’illecita combinazione a tre (Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini) fu pattuita solo
nell’ultimo mese della stagione 2004/2005, a differenza di altre situazioni protratte – come
esattamente osservato dalla CAF – per l’intera durata del campionato, conclusosi
addirittura con la vittoria della società i cui dirigenti avevano organizzato sistematiche e
strutturali condotte di illecita influenza;
5) che, con riferimento all’illecito commesso nella gara Lecce – Parma, il risultato
complessivamente vantaggioso per la Fiorentina era legato ad altre variabili (le partite
riguardanti la stessa Fiorentina, nonché le altre società interessate alla permanenza in
serie A) che non risultano essere state manipolate, da illeciti interventi riferibili a Diego
Della Valle o a suoi incaricati, ciò che ridimensiona sensibilmente l’attitudine del risultato,
così alterato, alla causazione del più ampio disegno di permanenza della società in serie
A;
6) che, a conferma del ruolo condizionante ed egemone di dirigenti di altre società, Diego
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Della Valle dovette rivolgersi, per realizzare il proprio progetto, anche a Moggi,
nell’implicita sfiducia che i competenti organi federali sarebbero stati in grado di adempiere
i propri doveri e di assicurare terzietà ed indipendenza nello svolgimento delle
competizioni sportive (così contribuendo a costituire una sorta di contro potere con la
collusione di importanti rappresentanti delle istituzioni e nell’inerzia degli organi federali
competenti);
7) decisivamente, che la società è stata dichiarata colpevole di illecito solo a titolo di
responsabilità oggettiva (per il fatto di Diego Della Valle) e presunta ( per quello di
Mazzini) e non diretta.
Il complesso di queste considerazioni porta a ritenere che, in un’ideale (e non
commendevole) graduatoria di responsabilità tra le società deferite, la Fiorentina non
possa che collocarsi al secondo posto alle spalle della Juventus, ma a debita distanza da
essa, per le ragioni differenziali sopra enunciate.
La Corte ritiene, quindi, che sia ragionevolmente afflittiva rispetto alla colpevolezza
accertata la sanzione:
a) di 30 punti di penalizzazione da scontare nella classifica 2005/2006;
b) di 19 punti di penalizzazione in classifica nella stagione sportiva 2006/2007;
c) della squalifica del campo di gara per tre giornate di campionato;
d) dell’ammenda di 100.000 euro.
* * **
Relativamente alla sanzione da irrogare al De Santis, per la grave condotta di cui è stato
giudicato colpevole, la Corte stima che essa debba essere ridotta a quattro anni di
inibizione, tenuto conto del fatto che il programma illecito fu ideato dal Vice Presidente
Federale e dal desginatore arbitrale, soggetti nei cui confronti vale la presunzione che egli
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versasse in una condizione di sottomissione psicologica.
* * * *
Per quanto concerne, infine, la sanzione da irrogare ad Innocenzo Mazzini, essa è da
determinare, con riguardo alla straordinaria ed efficiente gravità delle sue condotte ed al
disprezzo mostrato verso la prestigiosa carica di Vice Presidente Federale e tenuto conto
dell’effetto devolutivo globale dell’impugnazione proposta dal Procuratore Federale, in
riferimento ad accuse che riguardavano anche l’incolpato, nella sanzione massima della
inibizione per cinque anni, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla
permanenza in qualsiasi rango e categoria della F.I.G.C.
 
SECONDO GRADO MILAN

F - Posizione della Società A.C. Milan S.p.a., di Adriano Galliani e di Leonardo Meani
I profili di incolpazione che riguardano questo capo della sentenza sono stati esaminati
dalla decisione impugnata nelle pagine 145-148 ai paragrafi 1 e 2: tenendo conto peraltro
che il paragrafo 1 è dedicato a riportare i capi di incolpazione, può affermarsi che la
posizione dei tre soggetti coinvolti (Milan, Galliani e Meani) è esaminata e risolta solo con
il paragrafo 2, alle pagine 146-148.
In questo contenuto spazio della decisione vengono cumulativamente esaminate le
posizioni dei tre soggetti di cui trattasi, in realtà sovrapponendo la posizione dell'uno con
quelle degli altri; in definitiva il ragionamento posto in essere dalla Commissione, con la
decisione di primo grado, può così riassumersi.
a) Il Meani, tesserato per il Milan con la qualifica di addetto agli arbitri, in base a questa
sua posizione aveva preso contatto (attraverso due telefonate) con il Mazzei nella sua
qualità di (mero) proponente di designatori dei nominativi degli assistenti per le singole di
campionato.
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b) Questa iniziativa avrebbe comportato delle assicurazioni, da parte del Mazzei, di un
pronto adeguamento per la successiva gara Milan-Chievo Verona.
c) Tali episodi inducono a riconoscere una responsabilità del Meani e del Mazzei.
d) A questo punto, (nello spazio di poche righe) si coinvolge anche Galliani, a causa di un
brevissimo colloquio telefonico, di poco più di un minuto (anche se non è il tempo che
costituisce elemento di valutazione, ma il contenuto della telefonata), nel corso del quale
Meani chiama Galliani e riferisce il proprio operato, si badi bene, senza ricevere direttive
ed anche, in realtà, senza ricevere contestazioni.
Alla luce di quanto sopra la Commissione ha ritenuto di dover irrogare le seguenti
sanzioni: Galliani, inibizione per anni uno, Meani inibizione per anni tre e mesi sei, A.C.
Milan penalizzazione di punti quarantaquattro da scontare nella classifica 2005/2006 e di
punti quindici in classifica da scontare nella stagione sportiva 2006/2007; ammenda di €
30.000,00.
Come specificato in precedenza sono stati proposti appelli da tutti gli interessati con
argomentazioni in parte similari tra loro.
Ritiene la Corte Federale che le sanzioni ora indicate siano sproporzionate ai fatti
accertati, e comunque non in sintonia con la normativa dettata dalle norme di
comportamento contenute nel Codice di giustizia sportiva. Al riguardo si osserva quanto
segue.
E’ necessario seguire, anche nell’analisi di detta fattispecie, l’ordine logico dettato dai capi
di incolpazione; in questa prospettiva la prima posizione da valutare è quella del Meani.
Ritiene la Corte Federale che l'intervento di costui sia senz'altro da riprovare; egli è
dipendente, sia pure in posizione non di vertice, di una società di calcio e, benché la sua
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qualifica pacificamente fosse quella di dirigente addetto agli arbitri, ha abbondantemente
travalicato le sue funzioni interessandosi di questioni non consentite.
Non rileva, in questa sede, disquisire sugli elementi costitutivi dell'illecito sportivo; è
sufficiente, per giustificare una adeguata sanzione, che si sia accertato - come è
inconfutabilmente avvenuto - che il Meani ha posto in essere comportamenti, non di sua
competenza, finalizzati a favorire la società di appartenenza.
Ritiene la Corte, in ogni caso, tenendo conto della consistenza degli interventi del Meani,
così come vengono riportati nei capi di incolpazione, e comunque di come detti fatti sono
stati acquisiti al procedimento, che possa ritenersi congrua una sanzione più contenuta
rispetto quella irrogata in primo grado dalla Commissione.
Pertanto, modificando la decisione resa in prime cure, determina la sanzione nei confronti
di Leonardo Meani in anni 2 e mesi 6 di inibizione.
Passando, quindi, alla valutazione della posizione di Adriano Galliani, la Corte Federale
non può, in primo luogo, omettere di rilevare (e le considerazioni che seguiranno saranno
idonee anche alla valutazione del Milan) che la posizione di tale soggetto sia considerata e
valutata dalla Commissione in poche righe, nelle quali si compie una non univoca
ricostruzione dei fatti imputati a detto soggetto.
Infatti, nel capo di incolpazione si specifica soltanto che "il Galliani, infine, perché nella sua
qualità di vice presidente e amministratore delegato della Società Milan ragguagliato da
Meani circa la sopradescritta iniziativa l'approvava".
A fronte di tale incolpazione la decisione afferma l'applicabilità della sanzione "anzitutto
perché Galliani chiede subito conferma del contatto ..." e "poi perché non muove alcuna
obiezione alla risposta del Meani chiaramente allusiva alla richiesta di un trattamento di
favore per il Milan ...".
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La Corte ritiene di poter pertanto affermare che la posizione del Galliani, con i conseguenti
riflessi che la sua posizione comporta per la Società Milan, non sia stata valutata
adeguatamente e con il supporto di una idonea motivazione.
Inoltre, è rilevabile una non congrua valutazione dei fatti atteso che la intercettazione
telefonica appare considerata solo nel suo resoconto scritto. Si assume, infatti, nella
decisione gravata che la qualifica di "ex designatore" sarebbe frutto di un errore di
trascrizione, mentre invece è proprio tale locuzione che viene usata (in modo ironico) nel
corso del colloquio telefonico. E dal contenuto del colloquio telefonico tra Meani e Galliani,
ad avviso di questa Corte, è rilevabile che il Galliani apprende notizie non in ordine a
vicende relative ad indebiti futuri vantaggi nei confronti del Milan, ma, piuttosto, quali
spiegazioni relative a palesi errori verificatisi ad opera della direzione tecnica di una gara
disputata dalla società Milan con il Siena. E' ovvio l'auspicio che certe incongruenze più
non accadano, ma la valutazione della Corte Federale è nel senso che, da parte del
Galliani, non si siano date disposizioni o direttive volte a perseguire ingiusti o non
consentiti trattamenti.
In definitiva, tutto ciò induce a ritenere che sia più giusto e logico ridurre, sia pure in
misura minima, la sanzione irrogata dalla Commissione al Galliani, che comunque non ha
dato alcun seguito alla telefonata con il Meani.
Alla luce di quanto sopra, modificando la decisione resa in prime cure, determina la
sanzione nei confronti di Adriano Galliani in nove mesi di inibizione.
Tutto quanto, sin qui, dedotto è idoneo a delucidare anche alla posizione del Milan,
chiamato a rispondere per responsabilità diretta ed oggettiva per fatti addebitati ai sensi
dirigenti (vedi capitoli di incolpazione 67 e 69).
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Indubbiamente le condotte di Meani e Galliani si riverberano sulla Società; ma non può
omettersi di considerare che relativamente alla posizione di Galliani, come si è detto in
precedenza, è ravvisabile un comportamento certamente criticabile, ma di consistenza
non particolarmente penetrante; mentre il Meani aveva una posizione all'interno della
società assolutamente marginale. Anzi, con riferimento alla collocazione del Meani nella
società, non appare superflua una considerazione comparativa in relazione ai
comportamenti di altri soggetti che, in questo procedimento, hanno potuto produrre
conseguenze ben più rilevanti nei confronti della società di appartenenza, proprio tenendo
conto della loro posizione di vertice.
La Corte ritiene, quindi, in riforma della decisione resa in primo grado, che sia
ragionevolmente afflittiva, rispetto alla colpevolezza accertata la sanzione:
a) di 30 punti di penalizzazione da scontare nella classifica 2005/2006;
b) di 8 punti di penalizzazione in classifica nella stagione sportiva 2006/2007;
c) della squalifica del campo di gara per una giornata di campionato;
d) dell’ammenda di 100.000 euro.
 
Secondo Grado guardalinee Milan

G - Posizione di Gennaro Mazzei, Fabrizio Babini e Claudio Puglisi
La posizione di Mazzei, Babini e Puglisi, è esaminata dalla Commissione sotto il Capitolo
V in cui si tratta della vicenda relativa al Milan, dalla pag. 146 alla pag. 148.
I capi di incolpazione che afferiscono il comportamento di costoro sono contrassegnati con
i numeri 66-70, richiamati nell’epigrafe della presente decisione.
La motivazione afferente la critica al comportamento di costoro - come si è detto - si ricava
dalle pagine dedicate alla posizione del Milan ove, con riferimento alla partita Milan-Chievo
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Verona, del 20 aprile 2005, vengono prese in considerazione le iniziative assunte dal
Meani.
Orbene, è pacifico che il Meani abbia preso contatti con Mazzei: costui, che aveva l'onere
di proporre ai designatori i nominativi degli assistenti, era stato sollecitato alla indicazione
di soggetti validi in prospettiva per evitare gli errori che erano stati ravvisati nei precedenti
incontri disputati dal Milan (in particolare il Siena-Milan).
Il ragionamento dei giudici di prime cure, in merito alle censure relative al comportamento
degli indicati soggetti, in linea di massima, è da condividersi: risulta pacifico il contatto di
Meani con Mazzei, e soprattutto che costui non abbia assunto altre diverse iniziative e non
abbia contestato la possibilità di procedere alla designazione di alcuni assistenti. Come è
pacifico che gli assistenti Babini e Puglisi, siano stati contattati dallo stesso Meani, anche
se non emerge, da alcuna fonte, che costoro abbiano attuato un comportamento non
corretto nell'esercizio delle loro funzioni tecniche.
Conclusivamente, anche in sintonia con quanto più sopra ricordato, ritiene questa Corte
che le sanzioni vadano sempre correlate alla valenza del comportamento posto in essere
dal soggetto incolpato, tenuto conto delle sue funzioni istituzionali; ciò induce a contenere
le sanzioni irrogate dalla Commissione in primo grado nella seguente misura: comminando
la sanzione a carico di Gennaro Mazzei nella inibizione per sei mesi; determinando,
invece, la sanzione a carico di Fabrizio Babini e Claudio Puglisi in tre mesi di inibizione
ciascuno.
 
Il procuratore federale Stefano Palazzi non si smentisce ... :asd)

Per la Reggina: Retrocessione in serie B e penalizzazione di quindici punti nel prossimo campionato. Per il presidente Lillo Foti cinque anni di squalifica, con proposta di radiazione.

Secondo Palazzi la Reggina è direttamente responsabile di ''molteplici titoli di responsabilità diretta'' in violazione dell'articolo 1, quello che disciplina l'illecito sportivo.
I calabresi avrebbero anche ''responsabilità presunte'' per violazione dell'articolo 6, riguardante la lealtà sportiva. Foti, invece, sarebbe stato "protagonista di comportamenti finalizzati all'illecito sportivo". Sarebbe per questo condannabile sempre ai sensi dell'articolo 6 del codice di giustizia sportiva.

Secondo Palazzi, "è chiara l'esistenza di tentativi finalizzati ad apportare miglioramenti in classifica e ad alterare il rapporto di parità con gli avversari. Lo schema, è provato con certezza: il contatto con Bergamo, la richiesta di estrema attenzione, il successivo contatto con l'arbitro. Non è necessaria la prova dell'adesione dell'arbitro per costituire l'illecito, ma la condotta dei direttori di gara è qualificabile come omissione di denuncia del tentativo".

Insomma, dopo il "buonismo" di Serio e Sandulli, Juventus e Reggina rischiano di essere le uniche squadre a retrocedere ...
 
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