Il Picolit,
gloria e vanto del Friuli nel XVIII secolo
Alcuni vini friulani ebbero l'onore, come il Picolit, di deliziare i palati di papi, principi e re. Tale vitigno è certamente antichissimo, tanto che alcuni autori lo ritengono coltivato anche al tempo dei Romani. Fra gli esaltatori del Picolit troviamo anche il grande Carlo Goldoni, il quale lo definisce la gemma enologica più splendente del Friuli e fratello del Tokay (riferendosi al Tokay ungherese, naturalmente), delizia del palato esigente di papi, cardinali e imperatori. L'ampelografo Gallesio onorò il vitigno Picolit di una descrizione nella sua "Pomona italiana", riproducendone il grappolo e la foglia. Il maggior produttore di Picolit era, nel settecento, il conte Fabio Asquini di Fagagna che arrivò a spedirne all'estero più di centomila bottiglie dal caratteristico formato (in vetro verde chiaro soffiato di Murano) e dalla capacità di circa un quarto di litro, ricavandone quattordici lire venete e dieci soldi a bottiglia. Il conte Asquini inviava il Picolit non solo in tutta Italia, ma anche a Londra, Parigi, Amsterdam, in Russia; fornì la corte di Francia e l'Imperatore d'Austria, e quest'ultimo lo trovava migliore di qualunque altro vino.Il vino era poi quotatissimo anche alla corte papale, come si evince da una lettera scritta da Mons. Giuseppe de Rinaldis all'Asquini in data 20 giugno 1765: "Nella villeggiatura di Castel Gandolfo fu fatto l'assaggio del Vostro Piccolitto ... furono lasciati addietro gli altri vini prelibati al confronto del medesimo e v'erano di Personaggi che hanno il più raffinato gusto in questo genere fra i quali il cardinale Torrigiani Peroni, Gian Francesco Albani e S.E. il marchese d'Aubeterre, Ambasciatore di Francia...". Lo sviluppo della viticoltura friulana nel Settecento ci è testimoniato da varie fonti dell'epoca e la fama dei nostri prodotti enologici non si limitava al solo Picolit Infatti l'agronomo friulano Antonio Zanon, in una delle sue "Lettere famigliari", pubblicate per la prima volta a Venezia nel 1767, afferma che i vini del Friuli "servono alle mense di tutte le nazioni della Germania, dell'Inghilterra e del Nord". E in un'altra ancora, forse lasciandosi trascinare un po' dall'amore del natio paese, esclamava: "Quanto si glorierebbe l'Inghilterra se avesse le nostre vigne, i nostri Refoschi, i nostri Picoliti, i nostri Cividini e le nostre Ribuole?" Nell'Ottocento, lentamente, il vino friulano scade di qualità e di fama; la produzione enormemente ridotta dalle malattie crittogamiche e dalla fillossera è insufficiente al consumo locale.