(1) Le offerte Fiat e Ford dal punto di vista di un bilancio vantaggi/svantaggi erano più o meno equivalenti.
La Fiat proponeva di comprare tutto subito, offrendo 1050 miliardi in diverse rate ed accollandosi il debito di Alfa Romeo (700 miliardi dell’epoca).
La Ford diluisce nel tempo l’acquisizione, comprando subito il 19% del capitale, il 32% dopo 3 anni, il 34% dopo 5 ed il restante dopo 6.
L’IRI affidò le due offerte alla valutazione di una banca di affari estera, la Credit Suisse First Boston. Ora, non che le banche possano essere considerate di per sé estranee agli interessi della politica, comunque sta di fatto che la First Boston considerò di poco migliore l’offerta Fiat. Le due offerte giunsero anche alla Commissione Europea, che ne confermò la sostanziale equivalenza e che si disse d’accordo con le valutazioni della banca d’affari.
(2) Fu una svendita?
E’ vero che la rateizzazione ha fatto risparmiare a Fiat un mucchio di soldi, ma si trattava comunque di comprare un’azienda in difficoltà, seppur prestigiosa.
Secondo me il “mito” della svendita nasce in gran parte o da un atteggiamento anti-politico un po’ qualunquista per cui tutto ciò che fanno gli amministratori pubblici è sempre losco e fonte di intrallazzi vari (un atteggiamento del tipo “tanto qui è tutto un mangia-mangia”) o da troppo amore nei confronti del marchio Alfa, amore che non tiene in giusta considerazione la situazione del 1986: si usciva dal flop Arna – che non solo aveva venduto poco ma che soprattutto aveva allontanato molti clienti dal marchio Alfa – il debito era considerevole e le perdite continue, per non parlare della situazione di ingestibilità degli stabilimenti, alcuni creati più per ragioni elettorali che non per vere esigenze produttive (all’epoca si producevano 7 vetture per addetto, contro ad esempio le 11 di Fiat o le 43 di Toyota). Insomma, una situazione che fece dichiarare ad Agnelli: «ci siamo annessi una provincia debole». Il fatto che poi l’interesse di Fiat fosse quello di impedire alla Ford di entrare prepotentemente nel mercato italiano, più che di investire nell’Alfa Romeo, merita una discussione a parte.
(3) Politica e vendita dell’Alfa
Nel 1986 al governo c’è Craxi, che guida una maggioranza del Pentapartito Dc-Psi-Pri-Pli-Psdi.
A favore di Ford c’è una parte della Dc (Scotti e Donat-Cattin), per Fiat c’è la segreteria Dc con i partiti minori della coalizione Pri, Pli e Psdi. Il Psi, con l’allora vicesegretario alla Presidenza del Consiglio Amato che segue direttamente le trattative, ufficialmente è cauto, ma in realtà appoggia Fiat: pare che sia un incontro tra i vertici di Psi e Fiat a sbloccare la situazione, più che la valutazione della First Boston, tanto che al termine dell’affare Romiti avrà parole di elogio per Craxi.
Per quanto riguarda il Pci all’opposizione, il partito è diviso: la segreteria è per Fiat, ma alcuni esponenti di primo piano – Borghini, Corbani e Peggio – sono per Ford.
Vista anche la recente convenzione con la Libreria dell’Automobile, consiglierei sull’argomento: “Il mito Alfa” di Vitale-Corbetta-Mazzuca (Egea Edizioni, 2004) e “La Fiat: da Giovanni a Luca” di Alberto e Giancarlo Mazzuca (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004).