un po di storia.. 90anni di alfa..

squalettoge

Nuovo Alfista
12 Ottobre 2004
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- Genova -
digilander.libero.it
Auto
seat leon 5f 2.0 TDI black edition 2015 , ex 147 2003
E Henry Ford si tolse il cappello
Di Paolo Malagodi
I 90 anni dell'Alfa Romeo. Dai pionieri a Nuvolari, dalle macchine lussuose di Re Faruk agli anni del boom. Una pagina gloriosa del made in Italy

Ha compiuto novant'anni uno dei più prestigiosi marchi automobilistici, nato come sigla della «Anonima Lombarda Fabbrica Automobili». Costituita il 24 giugno 1910 da alcuni imprenditori che rilevarono la filiale milanese della Darracq, una delle tante aziende dei primordi dell'automobile. Nata in Francia nel 1896 e apprezzata anche in Italia, tanto che il 26 febbraio 1906 fu costituita la «Società Italiana Anonima Automobili Darracq», con sede a Napoli. Alla fine dello stesso anno nuove linee di montaggio furono allestite a Milano, immediatamente fuori la cinta daziaria lungo la strada della cascina del Portello. Su tali impianti si insedia la nuova A.l.f.a., che diverrà presto uno dei simboli della città. A iniziare dal marchio, che combina le insegne araldiche comunali: una croce rossa in campo bianco con il biscione dei Visconti, nell'emblema di quella che fu da subito conosciuta come «la casa del Biscione». Un'azienda affidata a un capitale sociale di 1,2 milioni di lire del tempo, con 250 dipendenti e una capacità produttiva intorno a 300 vetture l'anno. Una consistenza indubbiamente significativa nel panorama della nascente industria automobilistica, che in pochi anni vide la tumultuosa presenza - in un contesto quasi da odierna new economy - di oltre una trentina di costruttori presenti nella sola area milanese. Con marchi più o meno rapidamente scomparsi: alcuni famosi come Edoardo Bianchi o Isotta Fraschini, altri con sigle curiose come F.i.a.l. (Fabbrica italiana automobili Legnano) o S.a.l.v.a. (Società anonima lombarda vetture automobili). Nel variegato panorama nazionale dell'automobile, all'epoca l'altra area forte era quella torinese. Dove l'11 luglio 1899, e con capitale sociale di 800 mila lire, era stata costituita la Fabbrica italiana automobili Torino; azienda che nel 1910 contava già 3.000 dipendenti, con una produzione in quell'anno di 1.698 vetture. Il debutto della nuova fabbrica milanese venne affidato a una vettura veloce e con buona tenuta di strada, doti che avrebbero costituito parte integrante dell'immagine di marca a partire da quella prima 24 HP capace di superare i cento chilometri l'ora. Il progettista è Giuseppe Merosi, un piacentino che già aveva lavorato per la Fiat e la Bianchi. Immediata è la partecipazione delle vetture del Portello alle competizioni, con una 24 HP che alla Targa Florio del 1911 tenne saldamente la testa della gara; prima di essere costretta al ritiro per un banale incidente al pilota, accecato da uno spruzzo di fango. Nel 1913 viene commercializzata la 40-60 HP con motore da sei litri, mentre l'anno seguente Merosi firma la prima vettura da gran premio del Biscione. Una velocissima quattro cilindri che iniziò i collaudi ai primi di maggio del 1914, in attesa di un'attività agonistica invece interrotta in tutta Europa dagli eventi bellici. Lo scoppio della Grande guerra pone l'azienda in difficoltà finanziarie e il 2 dicembre 1915 la proprietà passa a Nicola Romeo, un ingegnere napoletano che già nel 1906 aveva creato a Milano un'impresa di macchinari per ingegneria civile. Nelle officine del Portello lavorano ormai 2.500 persone e si fa spazio alle commesse militari di munizioni, lanciafiamme e motori per aereo. Abile organizzatore, Romeo si trovò in quegli anni alla testa di una concentrazione industriale che solo a Milano contava cinque stabilimenti e al termine del conflitto dalle sue aziende escono trivelle, trattori e materiale ferroviario. La produzione automobilistica riprenderà soltanto nel 1920, con la Torpedo 20-30 HP e con il cognome del nuovo proprietario associato alla originaria ragione sociale. Nasceva così quel marchio che fece esclamare a Henry Ford: «ogni volta che vedo passare un'Alfa Romeo, mi tolgo il cappello». Mentre la produzione di serie rimarrà sino al 1926 affidata a Merosi, nel 1923 lo sviluppo di vetture per le corse passa a Vittorio Jano. Un brillante progettista torinese, già alla Fiat, che darà inizio a un periodo di grandi innovazioni tecniche e di esaltanti vittorie. Nelle quali la superiorità meccanica delle vetture milanesi si accompagna alle prodezze di piloti quali Antonio Ascari, Gastone Brilli Peri, Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari: il mitico «mantovano volante». Con un motore sovralimentato a sei cilindri, la P2 da gran premio del 1925 assicurò all'Alfa una schiacciante supremazia sui campi di gara e, per sfruttarne il successo, il 1927 vede la commercializzazione della 6 C-1500; un sapiente equilibrio di potenza, leggerezza e frenata. Con cilindrata leggermente aumentata per ottenere una maggiore elasticità di marcia, nel 1929 il modello diventa la 6 C-1750. Affidabile e veloce, ebbe vasta diffusione tanto che in quattro anni ne verranno realizzati 2.259 esemplari. Un numero notevole per una produzione Alfa Romeo che, nella seconda metà degli anni Venti, supera di poco le mille unità l'anno.
A causa dei riflessi della crisi di alcuni istituti bancari, nel 1928 l'ingegner Romeo aveva intanto lasciato la presidenza della società, le cui finanze saranno messe in ulteriore difficoltà dalla crisi del '29. L'Alfa Romeo rischierà il fallimento, finendo poi nel 1933 nel portafoglio dell'Iri, l'Istituto per la ricostruzione industriale, da poco costituito proprio per rilevare attività industriali in dissesto. Nonostante questi grandi mutamenti, durante gli anni Trenta continuano i grandi trionfi sportivi. In particolare con Tazio Nuvolari, che nel 1935 stabilisce sulla Firenze-Mare il record di velocità sul chilometro lanciato a oltre 320 l'ora e che, nel 1936, manderà in visibilio le folle americane vincendo a New York la prestigiosa Coppa Vanderbilt. Nella più importante gara su strada, la Mille Miglia, l'Alfa Romeo segna inoltre una serie ininterrotta di vittorie dal 1932 al 1938; con addirittura cinque vetture ai primi posti come nelle edizioni '32, '33, '35. Merito dell'indiscusso talento di Vittorio Jano che passerà alla Lancia proprio nel 1938, quando ancora tre vetture milanesi modello 8 C-2900 occuparono l'intero podio della massacrante cavalcata bresciana. Intanto si rafforza la produzione di motori aeronautici, che conquisteranno numerosi primati mondiali di velocità, altezza e distanza. Tale comparto arriva così a rappresentare la quota preponderante del fatturato e, per rispondere alle nuove scelte strategiche, sul finire del decennio viene realizzato vicino a Napoli lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale riconverte poi l'intera produzione a esigenze belliche, ponendo gli stabilimenti sotto il mirino dei velivoli alleati. Tanto che, dopo il bombardamento del 20 ottobre 1944, nel complesso del Portello cessa ogni attività. Che riprenderà con mezzi di fortuna nella primavera dell'anno dopo e con gli ottomila dipendenti impegnati a costruire cucine elettriche e mobili metallici, infissi in ferro e saracinesche.
La produzione automobilistica riprende nel 1946, con una limitata produzione di vetture di prestigio basate sulla vecchia meccanica della 6 C-2500. Ma dotate di moderne carrozzerie che entusiasmarono i personaggi dell'epoca: dall'attrice Rita Hayworth a re Faruk d'Egitto; con lussuosi allestimenti tra cui la Super Sport «Villa d'Este», carrozzata nel 1949 dalla Touring. La ripresa nel 1947 della Mille Miglia vedrà ancora una vittoria di un'Alfa Romeo 8 C-2900 d'anteguerra, ma il ritorno in grande stile al mondo delle corse avverrà nel 1950. Quando fu istituito il Campionato mondiale di Formula Uno, subito vinto da Giuseppe Farina al volante della monoposto 158; battezzata anche Alfetta e che conquisterà anche il successivo alloro mondiale, con la versione 159 pilotata dall'argentino Juan Manuel Fangio. Intanto nel 1948, a seguito della riorganizzazione dell'Iri, l'Alfa Romeo era entrata a far parte di Finmeccanica affrontando un preciso cammino di riordino industriale. Che porterà al temporaneo abbandono delle competizioni e alla presentazione del modello al quale è affidato il rilancio dell'azienda. Debutta così nel '50 la 1900, una elegante berlina a quattro porte. Con 90 cavalli raggiunge i 150 chilometri l'ora che salgono a 190 nelle più potenti versioni Super e Sprint, grazie alle quali fioccano di nuovo i risultati sportivi; per lo più di piloti privati, tanto che per la 1900 diverrà popolare lo slogan di «auto da famiglia che vince le corse». Ne saranno costruiti oltre 20 mila esemplari, affermando il concetto di berlina ad alte prestazioni e di uso quotidiano.
Ma il modello che consolidò definitivamente la ripresa Alfa Romeo fu una vettura di 1300 centimetri cubici, presentata al salone di Torino del 1954. Per la quale il poeta Leonardo Sinisgalli coniò il nome di Giulietta, mentre direttore di Finmeccanica era Giuseppe Luraghi, poi presidente di Alfa Romeo dal '57 al '74. Un convinto assertore delle capacità dell'industria di Stato, per una produzione automobilistica in grado di competere pienamente sul mercato e di generare profitti. Obiettivi che furono centrati grazie alla Giulietta, il cui telaio numero centomila - con madrina l'attrice Giulietta Masina - uscì dalla linea del Portello nel 1961 e che contò 177.620 esemplari, in vari modelli sino al 1965. Sono gli anni del miracolo economico e della motorizzazione di massa con un parco circolante che passa da 1,2 milioni nel 1955 a 6,1 milioni un decennio dopo; per un rapporto che nel periodo scende da 41,1 a 8,6 abitanti ogni veicolo. Un'altra vettura importante di quegli anni è la 2000, presentata nella versione berlina nel '58 e affiancata poi dalle versioni sportive. L'espansione produttiva rende così insufficiente la storica sede del Portello e nel febbraio 1960 si avvia la costruzione del vasto stabilimento di Arese, a circa 14 chilometri da Milano, dove sarà progressivamente spostata la produzione. Erede della Giulietta, nascerà qui nel 1962 la Giulia. Una berlina «disegnata dal vento» e dalla caratteristica coda tronca, che in quattordici anni verrà venduta in più di un milione di esemplari. Nel 1966 è la volta dello spider Duetto dalla linea a osso di seppia, che con Il laureato sedurrà i giovani americani.
In previsione di un forte aumento della domanda popolare di vetture, viene affidato lo studio di un nuovo modello di costo contenuto a Rudolf Hruska, un ingegnere meccanico viennese già progettista alla Porsche di Stoccarda. Nasce così l'idea Alfasud, per la cui produzione si sceglierà di realizzare un nuovo stabilimento a Pomigliano d'Arco, per favorire lo sviluppo industriale del Mezzogiorno. La prima pietra venne posta il 29 aprile 1968 e le linee produssero, dal febbraio '72, una quattro porte a trazione anteriore, dal motore di 1,2 litri e con carrozzeria disegnata da Giorgetto Giugiaro. Grazie anche all'apporto della nuova vettura, prodotta in 28 mila unità nel '72 e in oltre 70 mila nel '73, l'Alfa Romeo si consolida anche in campo europeo. Così nel 1973, su una produzione di 10,8 milioni di vetture nell'area dell'allora Mercato comune europeo, la casa milanese assorbiva l'1,9 di quota percentuale con una produzione di appena oltre le 200 mila unità. Superando la Bmw che produceva allora 182 mila auto e non troppo distante dalla stessa Mercedes che, con 350 mila vetture, aveva una penetrazione di poco superiore ai 3 punti. Ma proprio nel 1973 si manifesta un evento internazionale che costringerà le economie occidentali a contenere drasticamente i consumi petroliferi, riducendo di conseguenza i piani di sviluppo dell'auto. Dopo la guerra arabo-israeliana del Kippur, i Paesi esportatori di petrolio si riuniscono infatti nel cartello Opec aumentando vertiginosamente i prezzi del greggio. Nel giro di pochi giorni le quotazioni quadruplicano e gli italiani usano la bicicletta o vanno a piedi, circolando la domenica a targhe alterne. Gli stessi programmi dell'Alfa Romeo vengono rivisti e si debbono fronteggiare le sempre più forti intromissioni politiche, provenienti dall'area delle Partecipazioni Statali. In un simile contesto l'assemblea degli azionisti del 24 gennaio 1974 mette Luraghi in minoranza, portandolo a lasciare l'azienda. I successivi anni vedono l'Alfa Romeo percorrere una china progressivamente discendente, aggravata dalla disastrosa esperienza dell'Arna, un modello nato dall'intesa con la giapponese Nissan e con un nuovo stabilimento realizzato nel 1981 a Pratola Serra, in provincia di Avellino. Nel frattempo la presa di nuovi modelli - quali l'Alfetta 1750 e la 33 - non fu tale da evitare una rapida erosione delle vendite; nonostante una sorta di «canto del cigno», in occasione dei tre quarti di secolo nella marca. Celebrati nel 1985 da una vettura chiamata appunto 75, con elevate caratteristiche rispetto all'agguerrita concorrenza, specie di modelli esteri. Di fronte a una situazione commerciale e finanziaria sempre più difficile l'Iri decide di liquidare l'attività automobilistica, contesa tra Ford e Fiat. La scelta cadrà sul gruppo italiano che, dopo l'acquisizione di Lancia nel '78, si presenta ormai come l'unico gruppo produttore auto presente nell'area nazionale. Nel 1986 si costituisce così, all'interno di Fiat Auto, la società Alfa-Lancia con l'immediata cessazione delle attività Arna. Il resto è storia di oggi con la casa torinese impegnata a riordinare la gamma Alfa, utilizzando le sinergie con altri modelli. Nel 1987 vede la luce una berlina firmata da Pininfarina, la 164 che utilizza lo stesso pianale di Croma e di Thema. Ma il grande successo commerciale ritorna nel 1998 con la 156, che si aggiudica l'ambito riconoscimento di «Auto dell'anno». È poi il turno dell'ammiraglia 166 e quest'anno, in concomitanza con i novant'anni del marchio del Biscione, ecco la commercializzazione della raffinata Sportwagon e l'anteprima della compatta 147. Presentata al salone di Torino del giugno 2000 e ultima tappa di un rinnovamento premiato dai risultati produttivi, pressoché raddoppiati da 113 mila unità nel '96 a 220 mila nel '99.
Per l'immediato futuro le attenzioni sono rivolte a un ritorno in grande stile sul mercato statunitense, anche in virtù della recente alleanza tra Fiat e General Motors. Cosa che potrebbe avvenire già alla fine del 2003 o all'inizio del 2004, con una nuova spider o con uno specifico modello per gli standard americani. Nella speranza che anche i nipoti di Henry Ford, vedendo passare un'Alfa Romeo, tornino a scoprirsi il capo in segno di ammirazione.

Paolo Malagodi

da
http://www.liberalfondazione.it/archivi ... /Henry.htm
 
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