Nel primo degli articoli dedicati alle problematiche giuridiche riguardanti la fotografia, abbiamo parlato della legge sul diritto d’autore (633/41) e di come questa disciplina i vari aspetti della tutela che il nostro ordinamento offre alle cosiddette opere “creative”.
Abbiamo visto come si articola il diritto d’autore, il suo contenuto e più in particolare abbiamo visto in quali punti la legge trova applicazione diretta sul tema della fotografia intesa come “opera”.
Una situazione in cui il diritto d’autore viene sicuramente leso riguarda l’ipotesi di furto di file o negativi che in linea di massima si possono considerare gli unici mezzi per dimostrare di essere gli autori di una fotografia.
Certamente, la repentina digitalizzazione a cui la fotografia è andata incontro negli ultimi anni non agevola la situazione.
Il digitale permette meglio di condividere i nostri lavori con amici, addetti ai lavori e perfetti estranei, ma al tempo stesso ci dà molta più insicurezza sulla tutela della proprietà delle nostre immagini.
Pensiamo a quante volte abbiamo postato nei vari forum le nostre foto migliori, o a tutte quelle volte che abbiamo inviato le nostre foto a riviste nella speranza di una pubblicazione, oppure a tutte quelle volte che ci siamo recati presso il laboratorio sotto casa per stampare le nostre foto digitali conservate nell’apposito supporto e a nostra insaputa l’addetto alla stampa si sia impossessato dei file.
Per non parlare poi dei servizi di stampa on line, chi ci dice che dopo aver stampato l’ordine, gettino via il supporto inviato o cancellino i file uplodati?
Ad ogni modo il fatto che il digitale permetta più facilmente di “reperire” immagini altrui non vuol dire che ciò sia lecito e che la nostra legge sul diritto d’autore non riconosca l’immagine “digitale” come oggetto della sua tutela.
Il mezzo digitale permette sicuramente un furto più agevole, ma pur sempre di furto si tratta!
Quindi, miei cari pastrugnatori la domanda nasce spontanea: cosa possiamo fare in concreto per tutelare le nostre immagini digitali da possibili furti? O piuttosto, come possiamo eventualmente reagire in caso di indebita utilizzazione?
Perché ragazzi, diciamocelo tranquillamente, essere professionisti o semplici fotografi della domenica poco importa, ci dà sicuramente fastidio constatare che le nostre opere ci vengano sottratte.
Tuttavia la risposta all’interrogativo non è sicuramente confortante, perchè se da un lato sono stati realizzati dei sistemi per “marcare” le proprie opere dall’altro si è già trovato il sistema per aggirare l’ostacolo.
La soluzione di usare delle immagini a bassa risoluzione lascia decisamente il tempo che trova, naturalmente un’immagine di 600 pixel per lato maggiore non offre grandi possibilità di stampa ma può indubbiamente essere utilizzata all’interno di siti web.
Un rimedio molto più sicuro (ma non eccessivamente), è quello dei “watermarks”, che non sono altro che dei marchi trasparenti che segnano l’immagine in maniera impercettibile modificando i pixel dell’immagine e agendo sui contorni di maggior contrasto. Una soluzione del genere è offerto dalla Digimark.
Soluzione sicuramente non economica…
A quanto pare però è soltanto questione di tempo, già qualcuno è riuscito a dimostrare che questi watermarks non sarebbero sicuri e si stanno già creando dei software appositi per eliminare le “marchiature”.
Un altro sistema potrebbe essere quello di Safeimage proposto da applet Java, consistente nell’impossibilità di poter salvare l’immagine come opzione offerta dal browser.
Ma anche questa soluzione è aggirabile potendo benissimo fare uno “screenshot” della pagina dove è inserita la foto.
Insomma, a quanto pare la “reazione” al furto gia perpetrato sarebbe l’unica soluzione…
Cosa fare in concreto qualora ci accorgessimo che le nostre opere siano state rubate?
La scelta di una soluzione stragiudiziale della questione è sicuramente da preferire, quindi inviamo una comunicazione (con raccomandata A.R.) al “ladro” di fotografie con cui esponiamo l’illecito da lui compiuto, corredando la comunicazione con gli estremi di legge che si assumo essere stati violati, e chiedendo un compenso per l’utilizzazione dell’opera.
Se la questione è particolarmente importante il mio consiglio è quello di farsi assistere da un legale che saprà meglio convincere l’utilizzatore nel corrispondervi il vostro compenso per aver usato indebitamente le vostre opere.
Oppure potrebbe essere più semplice a monte dare mandato alla Siae di controllare eventuali ipotesi di indebite utilizzazioni. Il mandato va dato prima che possa avvenire l’illecito e dura per 5 anni.
Questa soluzione è sicuramente quella preferita dai professionisti.
Il problema non è di più facile soluzione anche nel caso in cui si tratti di negativi anziché file digitali.
Essere nel pieno possesso dei nostri negativi ci da sicuramente la prova di esserne proprietari nonché autori della foto, ma purtroppo la situazione potrebbe drasticamente capovolgersi nel momento in cui terzi soggetti entrino in possesso dei suddetti negativi soprattutto in considerazione della massima operante per i beni mobili “possesso vale titolo”. Si pensi così all’ipotesi di partecipazione a concorsi, invio di negativi a riviste di settore, ecc.
Una situazione particolarmente interessante, legata alle problematiche relative alla proprietà della nostre immagini, siano esse costituite da file, negativi o stampe, è quella che si presenta in relazione alla partecipazione ai concorsi fotografici.
Più volte mi sono trovato a discutere di una certa prassi ormai inveterata di club, associazioni fotografiche o culturali, enti pubblici, di indire un concorso al solo fine di crearsi un archivio di immagini da poter riutilizzare per locandine, pubblicità di eventi ed altro.
È un problema che riguarda molto noi fotoamatori che siamo così ansiosi di far conoscere le nostre opere tanto da non leggere attentamente il bando di partecipazione.
In questa situazione vengono a fondersi due istituti giuridici importanti per quanto riguarda la materia di cui ci occupiamo, quello della “proprietà” delle nostre opere e tutti i diritti ad essa connessi (che abbiamo già analizzato nell’articolo sul Diritto d’autore) e quello del “contratto” del quale l’art. 1321 del codice civile ci da una definizione semplice ed essenziale riconoscendolo come “un accordo tra due o più parti per costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici di natura patrimoniale”.
Firmare il bando di partecipazione significa stipulare un vero e proprio contratto, di conseguenza vuol dire accettarne tutte le clausole in esso contenute.
Personalmente ho partecipato (con scarso successo) a concorsi dove la restituzione delle opere era espressamente prevista nel bando, ma come già detto può tranquillamente verificarsi il contrario e cioè che ciò non sia menzionato, come soprattutto avviene per i concorsi indetti dagli enti pubblici.
La soluzione a monte al problema è molto semplice è di facile intuizione.
Bisogna leggere attentamente il bando di partecipazione, facendo attenzione soprattutto alla postille scritte con caratteri minuscoli illeggibili senza una lente di ingrandimento e per chi non abbia intenzione di condividere con altri i diritti sulle proprie opere l’unica soluzione è proprio quella di non partecipare (quanto meno se non si è certi di vincere…).
A posteriori invece, a mio avviso, l’unica via d’uscita potrebbe essere quella di considerare la clausola, riguardante la mancata restituzione delle opere e quindi la cessione dei diritti legati all’uso dell’opera, come “vessatoria” a norma dell’art. 1469 bis e ss del cod. civ.
Per vessatorie si intendono quelle clausole che sono particolarmente sfavorevoli per l’aderente e che per poter essere valide all’interno di un contratto devono essere sottoscritte direttamente dall’aderente a prescindere dall’adesione generale al contratto.
Tuttavia questa è solo una mia linea di pensiero che purtroppo non è corredata da giurisprudenza.
Concludendo si può ben vedere come in un epoca dove la diffusione di massa di immagini digitali risulta essere preponderante, la tutela delle nostre opere fotografiche risulta essere così precaria tale da farci pensare che l’unica vera soluzione sia quella di tenerle nel cassetto della nostra scrivania per mostrarle soltanto ai nostri cari.
Oppure possiamo decidere di diffondere le nostre immagini consapevoli però del rischio che le stesse possano esserci sottratte, del resto se vogliamo farci conoscere a qualcosa dovremo pur rinunciare…
Giuseppe Di Forti