Dopo la Giulietta, merita un dossier approfondito l'ultima vera Alfa Romeo prodotta un grande serie: l'Alfa 75, che quest'anno cade il 20° anniversario.
Derivata dalla Giulietta (e a sua volta dall'Alfetta), da cui riprende il pianale, la scocca e le sospensioni, l'alfa 75 è stata realizzata con un occhio di riguardo all'economia.
Dopo mesi di attesa, il 17 maggio 1985 l'Alfa Romeo 75 era pronta alla ribalta e, con l'alfa 90 presentata qualche mese prima, avrebbe dovuto rappresentare l'offensiva della gamma "Alfa Nord" per gli anni a cavallo tra gli '80 e '90. In realtà l'alfa 90 si arrese quasi subito in parte "massacrata" dalla sorella minore, l'Alfa 75, il cui nome stava a ricordare i primi 75 anni di vita dell'Alfa Romeo.
Alla presentazione, non raccolse l'entusiasmo diel pubblico. Effettivamente, sembrava di essere al cospetto di una sorta di ibrido tra la moderna 33 e la Giulietta. La derivazione da quest’ultima fu mimetizzata nel miglior modo possibile e gli unici elementi della carrozzeria in comune tra le due erano le porte, che la 75 aveva ereditato senza la minima variazione nei lamierati. Così il team del Centro Stile, guidato da Ermanno Cressoni, per evitare che il consumatore si accorgesse che le stesse erano prese dalla vecchia Giulietta, aveva ideato una soluzione d’effetto: una modanatura in plastica di un grigio molto scuro, che correva lungo la linea di cintura. Era un modo economico per sottolineare il profilo esasperatamente a cuneo e alleggerire esteticamente una fiancata che, altrimenti, sarebbe risultata pesantissima (a causa della coda alta e degli spessi montanti posteriori). Proprio questa fascia, è stata il particolare più discusso e, allo stesso tempo l’emblema, della neonata media Alfa Romeo. La coda era caratterizzata da due grandi gruppi ottici uniti da una sottile striscia catarifrangente superiore. Il frontale, era caratterizzato da due proiettori trapezoidali, e da una calandra a listelli orizzontali dove era inserito uno scudetto di dimensioni molto ridotte. Il frontale è l’unico “pezzo di 75” che accolse pareri unanimemente positivi, anche perché vantava un’aggressività, che ben si confaceva alle caratteristiche della vettura. Con il tempo l’estetica si è rivelata uno dei principali cavalli di battaglia e, praticamente, non è mai invecchiata del tutto.
Gli interni erano caratterizzati da una plancia bicolore nero/grigio. Il guidatore aveva davanti a se una strumentazione completa: contagiri, tachimetro, livello carburante, termometro liquido di raffreddamento e manometro olio con relative spie di allarme. Nel cruscotto della 75 era presente anche un ulteriore strumento: il “modulo di efficienza”, una specie di econometro a led che si illuminavano man mano che il rendimento diminuiva fino a suggerire, con un’ulteriore spia, il cambio di marcia. Ai lati della strumentazione c'erano quattro interruttori di servizio. A destra, sulla sommità della consolle centrale, erano presenti le spie secondarie e l’Alfa Romeo Control, una centralina che monitorava nove parametri, segnalava l’apertura delle porte e fungeva da temporizzatore per la plafoniera. A completamento della parte superiore della plancia, c’era un orologio digitale con cronometro e datario che, con sovrapprezzo, diventava un computer di bordo a sette funzioni. La consolle, era sensibilmente orientata verso il guidatore, e presentava due grandi bocchette d’aerazione e le manopole del relativo impianto, con riscaldamento dotato di termostato (che impediva l’azionamento del ventilatore se la temperatura del liquido di raffreddamento era insufficiente), e condizionatore in opzione. Unici comandi poco usuali erano il freno a mano “a maniglione”, l’autoradio in posizione “oscena”, alla base della consolle dietro la leva del cambio, e i commutatori dei vetri elettrici anteriori e delle plafoniere, disposti su una plancetta appena sopra lo specchio retrovisore.
Particolare la dotazione di serie. Inizialmente fu adottata una politica tanto in voga in quel periodo, quella degli “optional obbligatori” (chiusura centralizzata, dei vetri elettrici anteriori, dell’Alfa Romeo Control e del modulo di efficienza). Poi vi era la possibilità di montare serverosterzo e vetri elettrici posteriori (inizialmente non previsti in Italia, neanche in optional). Inoltre era presente la predisposizione per l’accendisigari posteriore, che diventava un’utile presa di corrente supplementare. La selleria di serie, i cui tessuti di qualità discreta furono cambiati più volte nel corso degli anni, utilizzava schiume morbide. Il divano posteriore, ben conformato (per due passeggeri) e dotato di grandi poggiatesta integrati.
Tecnicamente, l’Alfa 75 era dotata di sospensioni anteriori a quadrilatero con ammortizzatori corti e inclinati ed elemento elastico a barra di torsione (in luogo delle solite molle), mentre al posteriore ritroviamo lo schema ad assale “semi-rigido” DeDion, con molle elicoidali. Il motore era anteriore longitudinale, disposto in posizione leggermente arretrata, e il gruppo frizione-cambio era collocato posteriormente in blocco con il differenziale: tipico schema “transaxle”. A tal punto non si può non notare la maniacale ricerca della perfezione nel bilanciamento, con i freni a disco posteriori situati a ridosso del differenziale, “per ridurre le masse non sospese”.
I propulsori a benzina, all’esordio, erano i conosciutissimi quattro cilindri in lega d’alluminio, che l’Alfa utilizzava da anni. Aggiornati nell’erogazione, per migliorarne il rendimento, vi erano: il 1.6 (1570 cc) 110 cv, il 1.8 (1779 cc) 120 cv e il 2.0 (1962 cc) 128 cv. Di derivazione GTV6 c’era, in vece, il 2.5 (2492 cc), V6 156 cv. Il turbodiesel era un 2.0 quattro cilindri VM da 95 cv. Appena commercializzata, la 75 divenne subito la turbodiesel due litri più potente e veloce del mondo. Per tutte, la trasmissione era manuale a cinque rapporti. I propulsori a benzina erano a carburatori, con alimentazione singola (escluso il V6 con iniezione Bosch).
Consumi “adeguati” allo stile di guida e prestazioni notevoli, con velocità massime comprese tra 175 e 210 all’ora e accelerazioni di tutto rilievo con la 1.8 che impiegava 9.5” nello 0-100, la 2.0 a benzina che era sotto i 9 e la 2.5 che fermava il cronometro a 8.2”, erano le caratteristiche delle 75 a carburatori che, se non proprio parche, con una buona manutenzione e una guida rilassata spuntavano valori di consumo abbondantemente nella media. Tutt’altro accadeva, invece, se il “bialbero” veniva spremuto a dovere...
Intanto, nel Marzo del 1986 la gamma si arricchì della 1.8 Turbo, dotata del medesimo 1779 cc della versione aspirata, ma alimentato mediante turbina Garret T3, intercooler e iniezione elettronica Bosch.
La Turbo aveva la stessa potenza della 2.5 V6 (155 cv, un solo cavallo di differenza), ma era decisamente più performante in accelerazione, distaccandola di oltre mezzo secondo nel passaggio 0-100 km/h. L'interno era caratterizzato da rivestimenti specifici e sedili anteriori dai profili ottimizzati. La strumentazione era dotata di manometro del turbo, la cui scala curiosamente non partiva da 0 bar ma 1 (ovvero la pressione atmosferica), mentre la carrozzeria ricevette dei codolini, che allargavano i passaruota, e lo stesso cofano con bombatura che caratterizzava la V6.
Nello stesso anno iniziò la commercializzazione, negli Stati Uniti, della "Milano", una particolare versione dotata di paraurti ad assorbimento d’urto, finiture più curate con la possibilità dell’allestimento a quattro posti, e dotazioni decisamente ricche. La Milano, è stata commercializzata fino al 1989 nelle versioni 2.5 e 3.0 litri, con cambio manuale o automatico a 3 rapporti (abbinato alla 2.5 anche in Europa, ma mai commercializzato in Italia), e quattro livelli di allestimento: Silver, Gold, Platinum e successivamente, Verde.
Nel 1987 l'Alfa Romeo presente tre nuove versioni: la Twin Spark, la V6 3.0 America e la Turbo Evoluzione
La Twin Spark, lanciò la berlina di Arese nell’eccellenza della classe 2 litri, con un propulsore dotato di iniezione elettronica, variatore di fase e doppia accensione. Sprigionava 148 cv, con prestazioni assimilabili alla vecchia 2.5 V6 e consumi contenuti. Differiva dalle altre versioni per i il cofano bombato, i passaruota allargati, uniti da minigonne, e per la presenza dello spoiler posteriore ottenuto modificando il profilo della modanatura laterale. I paraurti erano verniciati nella parte inferiore, mantenendo “grezza” la fascia più in alto.
La strumentazione, ottenne una nuova grafica, con indici in bianco e cifre arancione. L'abitacolo, inoltre, era impreziosito da nuovi rivestimenti in velluto e da sedili sportivi, simili a quelli della Turbo, che riuscivano a regalare una manciata di millimetri alle gambe di chi sedeva dietro.
Nell’Inverno dello stesso anno, poi, fu disponibile anche in Europa la V6 3.0 che, Oltreoceano, affiancava, per poi sostituire, la Milano 2.5 che soffriva troppo l’uso dei dispositivi antinquinamento. Una volta esauriti i primi ordini per gli USA, la 3.0 (185 cv e 220 km/h, in versione “non cat”) fu commercializzata anche nel Vecchio Continente con la denominazione “America” e gli stessi aggiornamenti all’abitacolo della Twin Spark. Paraurti ad assorbimento, con codolini, spoiler e minigonne, mutuati direttamente dalla Milano, caratterizzavano la carrozzeria. Nello stesso anno, anche la 1.8 Turbo venne aggiornata: con il corpo vettura della V6 3.0, divenne 1.8 Turbo America. Entrambe erano dotate di serbatoio maggiorato, la cui presenza impose lo spostamento del terminale di scarico a destra, in luogo della tipica posizione centrale.
Infine, la Turbo Evoluzione, che era una versione realizzata per l’omologazione nei campionati turismo. Prodotta in soli 500 esemplari numerati, aveva le stesse prestazioni della 1.8 Turbo di serie, ma con un’unita dalla cilindrata ridotta (1762 cc), sospensioni riviste e una carrozzeria vistosamente elaborata. Scudi paraurti, passaruota anabolizzati e minigonne, erano elementi esclusivi, mentre lo spoiler posteriore e l’allestimento dell’abitacolo erano gli stessi delle altre versioni “top”.
Nel 1988 la 1.8 a benzina fu aggiornata con iniezione Bosch Motronic e variatore di fase lato aspirazione. Il propulsore perse qualcosa in aggressività, ma aumentarono l’elasticità e la regolarità di funzionamento: pur con gli stessi valori di coppia e potenza massime della vecchia “carburatori” (17 kgm e 120 cv), la 1.8 i.e. consumava meno, ma perdeva quasi un secondo in accelerazione.
La 2.0 a carburatori fu prima relegata a pochi mercati di esportazione per poi uscire definitivamente di scena, mentre, le diesel si arricchirono della grossa 2.4 turbodiesel, caratterizzata dallo stesso allestimento della Twin Spark. Esteticamente, la calandra perse i listelli orizzontali, soppiantati da due prese d’aria di maggiori dimensioni. I gruppi ottici posteriori divennero totalmente rossi, con inserti bianchi in corrispondenza delle frecce e delle luci di retromarcia. Il cofano bombato fu utilizzato anche per le versioni 1.6, 1.8 i.e. e 2.0.
La strumentazione fu unificata per tutte, con una nuova grafica, di nuovo con numeri e indici bianchi e illuminazione verde.
Questi ultimi aggiornamenti sancirono la maturità della 75 che, iniziò a sentire l’anzianità del progetto originario: la Fiat, in cui l’Alfa era da poco confluita, presentò la compatta Tipo, le cui doti di spaziosità erano tanto elevate quanto imbarazzanti (per la concorrenza), mentre la BMW sferrò un durissimo attacco con la sua rinnovata Serie 3 (la E36). Oltreoceano, intanto, la rete di vendita si apprestava ad accogliere la nuova 164 – incosciente dell’insuccesso a cui andrà in contro – e le riviste statunitensi, lungimiranti, premevano affinché gli appassionati riuscissero ad appropriarsi delle ultime Milano prodotte: era il 1989
Nel 1990 anche la 1.6 acquisì l’iniezione elettronica e il variatore di fase, subendo un grave decadimento delle prestazioni, ma migliorando i consumi; mentre le versioni America, in seguito al pensionamento della Milano, mutarono denominazione e ottennero il Quadrifoglio Verde (insieme ad una manciata di cavalli e dei bei cerchi da 15”). La 1.8 Turbo Q.V., grazie ad una nuova centralina di gestione, s’attestava sui 165 cv, mentre la 3 litri arrivava a 192. Dopo pochi mesi, l’obbligo del catalizzatore per le vetture di oltre 2 litri, riportò l’erogazione del sei cilindri agli originari 185 cv e, contemporaneamente, tutte le versioni in listino alimentate ad iniezione elettronica furono affiancate dalla rispettivo modello catalizzato (ad eccezione della 1.8 Turbo): ognuna perdeva, a causa del convertitore catalitico, dai due ai sette cavalli.
La carriera della 75 è quasi al capolinea e, a partire dal 1991 l'alfa sforna numerose serie numerate e commemorative: dalla 1.8 i.e. Indy (denominata Imola nei mercati d’esportazione), alle varie Trofeo, Diva, Scuderia e Epoca (riservate ai mercati esteri), fino alle A.S.N. (Allestimento Speciale Numerato) relativo alle T.S. e alle 1.8 Turbo Q.V., prodotte ufficialmente in 1000 esemplari (con tanto di targhetta con il numero progressivo dell’esemplare) e dotate, tra gli altri gadget, di cerchi in lega specifici e sedili Recaro con rivestimenti dedicati in tessuto grigio/nero.
Le serie speciali accompagneranno la gamma 75 fino a tutto il 1992.
Intanto la Fiat aveva già fatto esordire la sua “erede”, la 155, modello realizzato oggettivamente utilizzando la scocca “Tipo3” (da cui erano già nate la Fiat Tempra e la Lancia Dedra). Nella 155, vettura a trazione anteriore, i vecchi bialbero, disposti trasversalmente, furono aggiornati: nuove cilindrate, iniezione e doppia accensione per tutte le cubature. Dopo pochi anni furono sostituiti da unità di derivazione Fiat, con basamento in ghisa.
Fino alla primavera del 1993, i listini italiani ospitarono le 75 1.6 i.e. Cat. e 2.0 td , poi rimpiazzate dalle 155 1.7 T.S. e 2.0 td. In alcuni mercati, la commercializzazione delle 75 1.6 e 1.8 in versione catalizzata, continuò fino al 1994 e, fino ad allora, la clientela considerava il vecchio modello, piuttosto che la nuova berlina. La 155, a causa del cambio di immagine e della mutata impostazione meccanica, non riuscì mai a colpire gli alfisti veri: schiere di appassionati in tutto il mondo si sentirono “orfani” di una degna erede della tradizione di Arese.
Attualmente hanno un certo valore soltanto le versioni di punta della 75... mentre le altre, purtroppo, non sono ancora quotate
Alfa 75 2.5 Q.V. è valutata sui 2000 euro
Alfa 75 3.0 V6 è valutata sui 3000 euro
Alfa 75 1.8 turbo america e quadrifoglio verde sui 3500-4000 euro
Mentre la 75 1.8 turbo evoluzione attorno ai 7000 euro
Derivata dalla Giulietta (e a sua volta dall'Alfetta), da cui riprende il pianale, la scocca e le sospensioni, l'alfa 75 è stata realizzata con un occhio di riguardo all'economia.
Dopo mesi di attesa, il 17 maggio 1985 l'Alfa Romeo 75 era pronta alla ribalta e, con l'alfa 90 presentata qualche mese prima, avrebbe dovuto rappresentare l'offensiva della gamma "Alfa Nord" per gli anni a cavallo tra gli '80 e '90. In realtà l'alfa 90 si arrese quasi subito in parte "massacrata" dalla sorella minore, l'Alfa 75, il cui nome stava a ricordare i primi 75 anni di vita dell'Alfa Romeo.
Alla presentazione, non raccolse l'entusiasmo diel pubblico. Effettivamente, sembrava di essere al cospetto di una sorta di ibrido tra la moderna 33 e la Giulietta. La derivazione da quest’ultima fu mimetizzata nel miglior modo possibile e gli unici elementi della carrozzeria in comune tra le due erano le porte, che la 75 aveva ereditato senza la minima variazione nei lamierati. Così il team del Centro Stile, guidato da Ermanno Cressoni, per evitare che il consumatore si accorgesse che le stesse erano prese dalla vecchia Giulietta, aveva ideato una soluzione d’effetto: una modanatura in plastica di un grigio molto scuro, che correva lungo la linea di cintura. Era un modo economico per sottolineare il profilo esasperatamente a cuneo e alleggerire esteticamente una fiancata che, altrimenti, sarebbe risultata pesantissima (a causa della coda alta e degli spessi montanti posteriori). Proprio questa fascia, è stata il particolare più discusso e, allo stesso tempo l’emblema, della neonata media Alfa Romeo. La coda era caratterizzata da due grandi gruppi ottici uniti da una sottile striscia catarifrangente superiore. Il frontale, era caratterizzato da due proiettori trapezoidali, e da una calandra a listelli orizzontali dove era inserito uno scudetto di dimensioni molto ridotte. Il frontale è l’unico “pezzo di 75” che accolse pareri unanimemente positivi, anche perché vantava un’aggressività, che ben si confaceva alle caratteristiche della vettura. Con il tempo l’estetica si è rivelata uno dei principali cavalli di battaglia e, praticamente, non è mai invecchiata del tutto.
Gli interni erano caratterizzati da una plancia bicolore nero/grigio. Il guidatore aveva davanti a se una strumentazione completa: contagiri, tachimetro, livello carburante, termometro liquido di raffreddamento e manometro olio con relative spie di allarme. Nel cruscotto della 75 era presente anche un ulteriore strumento: il “modulo di efficienza”, una specie di econometro a led che si illuminavano man mano che il rendimento diminuiva fino a suggerire, con un’ulteriore spia, il cambio di marcia. Ai lati della strumentazione c'erano quattro interruttori di servizio. A destra, sulla sommità della consolle centrale, erano presenti le spie secondarie e l’Alfa Romeo Control, una centralina che monitorava nove parametri, segnalava l’apertura delle porte e fungeva da temporizzatore per la plafoniera. A completamento della parte superiore della plancia, c’era un orologio digitale con cronometro e datario che, con sovrapprezzo, diventava un computer di bordo a sette funzioni. La consolle, era sensibilmente orientata verso il guidatore, e presentava due grandi bocchette d’aerazione e le manopole del relativo impianto, con riscaldamento dotato di termostato (che impediva l’azionamento del ventilatore se la temperatura del liquido di raffreddamento era insufficiente), e condizionatore in opzione. Unici comandi poco usuali erano il freno a mano “a maniglione”, l’autoradio in posizione “oscena”, alla base della consolle dietro la leva del cambio, e i commutatori dei vetri elettrici anteriori e delle plafoniere, disposti su una plancetta appena sopra lo specchio retrovisore.
Particolare la dotazione di serie. Inizialmente fu adottata una politica tanto in voga in quel periodo, quella degli “optional obbligatori” (chiusura centralizzata, dei vetri elettrici anteriori, dell’Alfa Romeo Control e del modulo di efficienza). Poi vi era la possibilità di montare serverosterzo e vetri elettrici posteriori (inizialmente non previsti in Italia, neanche in optional). Inoltre era presente la predisposizione per l’accendisigari posteriore, che diventava un’utile presa di corrente supplementare. La selleria di serie, i cui tessuti di qualità discreta furono cambiati più volte nel corso degli anni, utilizzava schiume morbide. Il divano posteriore, ben conformato (per due passeggeri) e dotato di grandi poggiatesta integrati.
Tecnicamente, l’Alfa 75 era dotata di sospensioni anteriori a quadrilatero con ammortizzatori corti e inclinati ed elemento elastico a barra di torsione (in luogo delle solite molle), mentre al posteriore ritroviamo lo schema ad assale “semi-rigido” DeDion, con molle elicoidali. Il motore era anteriore longitudinale, disposto in posizione leggermente arretrata, e il gruppo frizione-cambio era collocato posteriormente in blocco con il differenziale: tipico schema “transaxle”. A tal punto non si può non notare la maniacale ricerca della perfezione nel bilanciamento, con i freni a disco posteriori situati a ridosso del differenziale, “per ridurre le masse non sospese”.
I propulsori a benzina, all’esordio, erano i conosciutissimi quattro cilindri in lega d’alluminio, che l’Alfa utilizzava da anni. Aggiornati nell’erogazione, per migliorarne il rendimento, vi erano: il 1.6 (1570 cc) 110 cv, il 1.8 (1779 cc) 120 cv e il 2.0 (1962 cc) 128 cv. Di derivazione GTV6 c’era, in vece, il 2.5 (2492 cc), V6 156 cv. Il turbodiesel era un 2.0 quattro cilindri VM da 95 cv. Appena commercializzata, la 75 divenne subito la turbodiesel due litri più potente e veloce del mondo. Per tutte, la trasmissione era manuale a cinque rapporti. I propulsori a benzina erano a carburatori, con alimentazione singola (escluso il V6 con iniezione Bosch).
Consumi “adeguati” allo stile di guida e prestazioni notevoli, con velocità massime comprese tra 175 e 210 all’ora e accelerazioni di tutto rilievo con la 1.8 che impiegava 9.5” nello 0-100, la 2.0 a benzina che era sotto i 9 e la 2.5 che fermava il cronometro a 8.2”, erano le caratteristiche delle 75 a carburatori che, se non proprio parche, con una buona manutenzione e una guida rilassata spuntavano valori di consumo abbondantemente nella media. Tutt’altro accadeva, invece, se il “bialbero” veniva spremuto a dovere...
Intanto, nel Marzo del 1986 la gamma si arricchì della 1.8 Turbo, dotata del medesimo 1779 cc della versione aspirata, ma alimentato mediante turbina Garret T3, intercooler e iniezione elettronica Bosch.
La Turbo aveva la stessa potenza della 2.5 V6 (155 cv, un solo cavallo di differenza), ma era decisamente più performante in accelerazione, distaccandola di oltre mezzo secondo nel passaggio 0-100 km/h. L'interno era caratterizzato da rivestimenti specifici e sedili anteriori dai profili ottimizzati. La strumentazione era dotata di manometro del turbo, la cui scala curiosamente non partiva da 0 bar ma 1 (ovvero la pressione atmosferica), mentre la carrozzeria ricevette dei codolini, che allargavano i passaruota, e lo stesso cofano con bombatura che caratterizzava la V6.
Nello stesso anno iniziò la commercializzazione, negli Stati Uniti, della "Milano", una particolare versione dotata di paraurti ad assorbimento d’urto, finiture più curate con la possibilità dell’allestimento a quattro posti, e dotazioni decisamente ricche. La Milano, è stata commercializzata fino al 1989 nelle versioni 2.5 e 3.0 litri, con cambio manuale o automatico a 3 rapporti (abbinato alla 2.5 anche in Europa, ma mai commercializzato in Italia), e quattro livelli di allestimento: Silver, Gold, Platinum e successivamente, Verde.
Nel 1987 l'Alfa Romeo presente tre nuove versioni: la Twin Spark, la V6 3.0 America e la Turbo Evoluzione
La Twin Spark, lanciò la berlina di Arese nell’eccellenza della classe 2 litri, con un propulsore dotato di iniezione elettronica, variatore di fase e doppia accensione. Sprigionava 148 cv, con prestazioni assimilabili alla vecchia 2.5 V6 e consumi contenuti. Differiva dalle altre versioni per i il cofano bombato, i passaruota allargati, uniti da minigonne, e per la presenza dello spoiler posteriore ottenuto modificando il profilo della modanatura laterale. I paraurti erano verniciati nella parte inferiore, mantenendo “grezza” la fascia più in alto.
La strumentazione, ottenne una nuova grafica, con indici in bianco e cifre arancione. L'abitacolo, inoltre, era impreziosito da nuovi rivestimenti in velluto e da sedili sportivi, simili a quelli della Turbo, che riuscivano a regalare una manciata di millimetri alle gambe di chi sedeva dietro.
Nell’Inverno dello stesso anno, poi, fu disponibile anche in Europa la V6 3.0 che, Oltreoceano, affiancava, per poi sostituire, la Milano 2.5 che soffriva troppo l’uso dei dispositivi antinquinamento. Una volta esauriti i primi ordini per gli USA, la 3.0 (185 cv e 220 km/h, in versione “non cat”) fu commercializzata anche nel Vecchio Continente con la denominazione “America” e gli stessi aggiornamenti all’abitacolo della Twin Spark. Paraurti ad assorbimento, con codolini, spoiler e minigonne, mutuati direttamente dalla Milano, caratterizzavano la carrozzeria. Nello stesso anno, anche la 1.8 Turbo venne aggiornata: con il corpo vettura della V6 3.0, divenne 1.8 Turbo America. Entrambe erano dotate di serbatoio maggiorato, la cui presenza impose lo spostamento del terminale di scarico a destra, in luogo della tipica posizione centrale.
Infine, la Turbo Evoluzione, che era una versione realizzata per l’omologazione nei campionati turismo. Prodotta in soli 500 esemplari numerati, aveva le stesse prestazioni della 1.8 Turbo di serie, ma con un’unita dalla cilindrata ridotta (1762 cc), sospensioni riviste e una carrozzeria vistosamente elaborata. Scudi paraurti, passaruota anabolizzati e minigonne, erano elementi esclusivi, mentre lo spoiler posteriore e l’allestimento dell’abitacolo erano gli stessi delle altre versioni “top”.
Nel 1988 la 1.8 a benzina fu aggiornata con iniezione Bosch Motronic e variatore di fase lato aspirazione. Il propulsore perse qualcosa in aggressività, ma aumentarono l’elasticità e la regolarità di funzionamento: pur con gli stessi valori di coppia e potenza massime della vecchia “carburatori” (17 kgm e 120 cv), la 1.8 i.e. consumava meno, ma perdeva quasi un secondo in accelerazione.
La 2.0 a carburatori fu prima relegata a pochi mercati di esportazione per poi uscire definitivamente di scena, mentre, le diesel si arricchirono della grossa 2.4 turbodiesel, caratterizzata dallo stesso allestimento della Twin Spark. Esteticamente, la calandra perse i listelli orizzontali, soppiantati da due prese d’aria di maggiori dimensioni. I gruppi ottici posteriori divennero totalmente rossi, con inserti bianchi in corrispondenza delle frecce e delle luci di retromarcia. Il cofano bombato fu utilizzato anche per le versioni 1.6, 1.8 i.e. e 2.0.
La strumentazione fu unificata per tutte, con una nuova grafica, di nuovo con numeri e indici bianchi e illuminazione verde.
Questi ultimi aggiornamenti sancirono la maturità della 75 che, iniziò a sentire l’anzianità del progetto originario: la Fiat, in cui l’Alfa era da poco confluita, presentò la compatta Tipo, le cui doti di spaziosità erano tanto elevate quanto imbarazzanti (per la concorrenza), mentre la BMW sferrò un durissimo attacco con la sua rinnovata Serie 3 (la E36). Oltreoceano, intanto, la rete di vendita si apprestava ad accogliere la nuova 164 – incosciente dell’insuccesso a cui andrà in contro – e le riviste statunitensi, lungimiranti, premevano affinché gli appassionati riuscissero ad appropriarsi delle ultime Milano prodotte: era il 1989
Nel 1990 anche la 1.6 acquisì l’iniezione elettronica e il variatore di fase, subendo un grave decadimento delle prestazioni, ma migliorando i consumi; mentre le versioni America, in seguito al pensionamento della Milano, mutarono denominazione e ottennero il Quadrifoglio Verde (insieme ad una manciata di cavalli e dei bei cerchi da 15”). La 1.8 Turbo Q.V., grazie ad una nuova centralina di gestione, s’attestava sui 165 cv, mentre la 3 litri arrivava a 192. Dopo pochi mesi, l’obbligo del catalizzatore per le vetture di oltre 2 litri, riportò l’erogazione del sei cilindri agli originari 185 cv e, contemporaneamente, tutte le versioni in listino alimentate ad iniezione elettronica furono affiancate dalla rispettivo modello catalizzato (ad eccezione della 1.8 Turbo): ognuna perdeva, a causa del convertitore catalitico, dai due ai sette cavalli.
La carriera della 75 è quasi al capolinea e, a partire dal 1991 l'alfa sforna numerose serie numerate e commemorative: dalla 1.8 i.e. Indy (denominata Imola nei mercati d’esportazione), alle varie Trofeo, Diva, Scuderia e Epoca (riservate ai mercati esteri), fino alle A.S.N. (Allestimento Speciale Numerato) relativo alle T.S. e alle 1.8 Turbo Q.V., prodotte ufficialmente in 1000 esemplari (con tanto di targhetta con il numero progressivo dell’esemplare) e dotate, tra gli altri gadget, di cerchi in lega specifici e sedili Recaro con rivestimenti dedicati in tessuto grigio/nero.
Le serie speciali accompagneranno la gamma 75 fino a tutto il 1992.
Intanto la Fiat aveva già fatto esordire la sua “erede”, la 155, modello realizzato oggettivamente utilizzando la scocca “Tipo3” (da cui erano già nate la Fiat Tempra e la Lancia Dedra). Nella 155, vettura a trazione anteriore, i vecchi bialbero, disposti trasversalmente, furono aggiornati: nuove cilindrate, iniezione e doppia accensione per tutte le cubature. Dopo pochi anni furono sostituiti da unità di derivazione Fiat, con basamento in ghisa.
Fino alla primavera del 1993, i listini italiani ospitarono le 75 1.6 i.e. Cat. e 2.0 td , poi rimpiazzate dalle 155 1.7 T.S. e 2.0 td. In alcuni mercati, la commercializzazione delle 75 1.6 e 1.8 in versione catalizzata, continuò fino al 1994 e, fino ad allora, la clientela considerava il vecchio modello, piuttosto che la nuova berlina. La 155, a causa del cambio di immagine e della mutata impostazione meccanica, non riuscì mai a colpire gli alfisti veri: schiere di appassionati in tutto il mondo si sentirono “orfani” di una degna erede della tradizione di Arese.
Attualmente hanno un certo valore soltanto le versioni di punta della 75... mentre le altre, purtroppo, non sono ancora quotate
Alfa 75 2.5 Q.V. è valutata sui 2000 euro
Alfa 75 3.0 V6 è valutata sui 3000 euro
Alfa 75 1.8 turbo america e quadrifoglio verde sui 3500-4000 euro
Mentre la 75 1.8 turbo evoluzione attorno ai 7000 euro