- 21 Luglio 2006
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Lancia: i perchè di 110 anni festeggiati in sordina
Pochi giorni fa la Lancia ha compiuto 110 anni di vita,
ma nessuno ha festeggiato un così importante traguardo: questi i motivi.
Lo scorso 27 novembre ha compiuto 110 anni di vita la Lancia, un marchio storico ormai a quanto pare avviato dolorosamente verso l’estinzione. Sergio Marchionne, amministratore delegato del Gruppo FCA, già due anni fa ha detto che malgrado la sua ingente storia un marchio come Lancia è comunque destinato alla scomparsa o perlomeno ad un’esistenza limitata al solo ed esiguo (almeno in termini mondiali) mercato italiano, proprio perché la Casa madre FIAT ha rinunciato ad investirvi e a coltivarlo negli ultimi venti o trent’anni. Quella di Marchionne è una conclusione certamente dolorosa e volendo pure contestabile, ma non priva di una sua logica: nel mondo dell’industria non c’è spazio per la storia e per i sentimentalismi, e purtroppo il marchio Lancia è stato erroneamente abbandonato al proprio destino da almeno vent’anni, senza essere usato per commercializzare auto di successo e di carattere o per competere in ambito sportivo.
Fino ai primissimi Anni ‘90 il nome Lancia faceva ancora furore nel mondo dei Rally con la “Delta” nelle varie versioni HF, Integrale ed EVO, e nell’alto di classe con un’ammiraglia come la “Thema”, che al suo apparire, nell’ormai lontano 1984, era addirittura la seconda auto più desiderata dagli italiani dopo la Ferrari. Viene da chiedersi come sia stato possibile che un marchio del genere, che ancor oggi detiene il record di vittorie nei Rally e per numero di brevetti tecnici registrati, sia oggi sul viale del tramonto.
Lancia ha sempre avuto un forte legame con FIAT. Vincenzo Lancia, il fondatore, era stato collaudatore e quindi pilota di macchine FIAT. Era un uomo corpulento, energico e generoso: quando, nel 1906, aveva fondato la sua Casa automobilistica, lo stabilimento aveva la porta d’ingresso troppo stretta per far uscire la sua prima automobile prodotta. Lui non aveva sentito storie: aveva preso una mazza ed aveva allargato la porta abbattendo pezzi di muro, di persona. Così la Lancia modello “Alfa” (molte Lancia di successo si sarebbero affidate, per farsi chiamare, a lettere dell’alfabeto greco, a nomi latini e così via) aveva potuto compiere il suo acclamato ingresso in società: era un’auto signorile, ben rifinita, con soluzioni tecniche all’ultimo grido.
Negli anni seguenti Lancia si sarebbe resa celebre con la “Lambda”, una macchina che introduceva per la prima volta nella storia dell’automobilismo la cosiddetta “scocca portante” (la carrozzeria che avvolgeva tutti gli organi meccanici ed il telaio, anziché essere semplicemente imbullonata a quest’ultimo), oltre al motore a quattro cilindri a V stretto prodotto in serie, e così via. Iniziava la fortunata stagione delle Lancia intese come auto innovatrici, che ad ogni nuovo modello introducevano nuovi brevetti capaci di spiazzare la concorrenza italiana, francese, inglese, tedesca ed americana.
Anche la Mafia italo-americana s’interessò alla Lancia: negli Anni ‘20 i boss newyorkesi contattarono il mite (e sprovveduto) Vincenzo Lancia proponendogli la costruzione delle sue automobili anche in America. Dopotutto quest’ultime andavano così bene anche negli Stati Uniti… Vincenzo inizialmente ci credette, poi, una volta giunto in America, si rese conto del pericolo e tornò di corsa in Italia, imbarcandosi sul primo piroscafo che trovò a disposizione. Nel frattempo, però, aveva ideato un modello apposta per i suoi loschi committenti, così come per il lussuoso mercato americano antecedente al 1929: la “Dilambda”.
“Ardea” ed “Aprilia” furono due modelli a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, fra Fascismo e Repubblica, con cui Lancia cercò di soddisfare le esigenze di un mercato che voleva congiungere l’eleganza e lo stile con le prestazioni e l’economia d’esercizio. Poi, nel Secondo Dopoguerra, fu il turno del figlio, che credette soprattutto nelle corse svenando la Casa in una costosa attività sportiva che alla fine la consegnò, ormai economicamente dissestata, nelle mani della famiglia Pesenti, quella del cemento. Nel frattempo, però, Lancia aveva ribadito il proprio “pedigree” tecnologico ed innovativo con modelli come la “Aurelia”, la prima auto di lusso ad introdurre il motore a sei cilindri a V di serie e la trazione posteriore con lo schema “transaxle”, e la Appia, lussuosissima berlina di categoria media, con motore 1100 cc a 4 cilindri a V stretto e trazione posteriore che si collocava esattamente a metà strada fra la più convenzionale FIAT 1100 e la più sportiveggiante Alfa Romeo “Giulietta” 1300. Con la gestione successiva la “Appia” trovò un’erede nella fortunatissima “Fulvia”, che ne ereditava il motore ma che introduceva per la prima volta in Italia la formula della trazione anteriore, e la “Flavia”, anch’essa a trazione anteriore e dotata di un ottimo motore boxer a quattro cilindri di 1500 cc: la regina delle autovetture di classe medio-alta in Italia, una spanna al di sopra della FIAT 1500 e a cui solo l’altrettanto blasonata Alfa Romeo “Giulia” era in grado di dar fastidio. La “Flavia” fu anche la prima auto italiana a disporre dell’iniezione, seppur ancora meccanica, ed il suo pregiato motore si sarebbe evoluto verso i 1800 e i 2000 cc fino all’erede degli Anni ‘70, la Lancia 2000 che molti considerano essere l’ultima vera Lancia prima dell’arrivo della FIAT. Anche la pregiatissima “Aurelia” aveva trovato una sua degna erede nella grande e lussuosa “Flaminia”, una limousine di 2500 cc con motore a sei cilindri a V, poi evolutosi anche in 2800 cc, che tuttora è l’auto del Presidente della Repubblica nelle occasioni speciali.
Quando la FIAT nel 1968 acquistò la Lancia dalla famiglia Pesenti, la situazione per la Casa di Chivasso era a dir poco distrutto. A detta dei tecnici FIAT non vi era un solo progetto nel cassetto, mentre le “Fulvia”, le “Flavia” e le “Flaminia” apparivano ormai troppo invecchiate. Fu così concepita, dall’oggi al domani, la “Beta”, che debuttò nel 1972 sostituendo “Fulvia” e “Flavia” e che per la prima volta nella storia della Lancia introdusse la meccanica FIAT, per la precisione gli ottimi bialbero “Lampredi”. La “Beta”, con la sua linea a due volumi, molto di moda in quegli anni, era davvero una novità per la Lancia, e fu la prima auto della Casa di Chivasso a venir importata anche in America dopo decenni. Fu un grande successo e rimase sulla breccia almeno fino al 1984, quando, insieme alla versione a tre volumi “Trevi” (ricordata soprattutto per l’originale cruscotto soprannominato “gruviera” e disegnato da un celebre architetto milanese) venne rimpiazzata dall’indimenticata “Thema”. La “Beta”, tuttavia, aveva fatto in tempo a farsi distinguere nei Rally, dando vita anche a fortunatissime versioni derivate come la “037” e la “Montecarlo” che avevano dominato le piste insieme alla “Stratos” motorizzata Ferrari, almeno finché non arrivò nel 1979 la più piccola e leggera “Delta”. Quest’ultima avrebbe fatto furore nei Rally degli Anni ‘80 vincendo tutto il possibile, e dominato il mercato insieme alla più grande e signorile “Thema” fino ai primi Anni ‘90.
Dopodichè, fu il nulla: la nuova “Delta” del 1992 non riuscì neanche minimamente a ripetere il successo della vecchia versione, anche perché nel frattempo la Casa era stata ritirata dalle corse, importanti veicolo pubblicitario. La “K”, ugualmente, scomparì nell’anonimato senza riuscire ad eguagliare il grande e lusinghiero riscontro della “Thema”, e men che meno vi riuscì la “Thesis” che invece, secondo i pronostici, avrebbe dovuto far furore. La “Lybra” prima e la “Nuova Delta” poi, malgrado le vendite inizialmente promettenti, ebbero lo stesso infausto esito.
Così s’è avviata verso la scomparsa una celebre Casa automobilistica, uno dei marchi che più ha contribuito nella sua lunga e prestigiosa storia a definire l’automobile di oggi e anche di domani.
Di Filippo Bovo - 16 dicembre 2016
:OK) http://www.opinione-pubblica.com/lancia ... i-sordina/ :OK)
Pochi giorni fa la Lancia ha compiuto 110 anni di vita,
ma nessuno ha festeggiato un così importante traguardo: questi i motivi.
Lo scorso 27 novembre ha compiuto 110 anni di vita la Lancia, un marchio storico ormai a quanto pare avviato dolorosamente verso l’estinzione. Sergio Marchionne, amministratore delegato del Gruppo FCA, già due anni fa ha detto che malgrado la sua ingente storia un marchio come Lancia è comunque destinato alla scomparsa o perlomeno ad un’esistenza limitata al solo ed esiguo (almeno in termini mondiali) mercato italiano, proprio perché la Casa madre FIAT ha rinunciato ad investirvi e a coltivarlo negli ultimi venti o trent’anni. Quella di Marchionne è una conclusione certamente dolorosa e volendo pure contestabile, ma non priva di una sua logica: nel mondo dell’industria non c’è spazio per la storia e per i sentimentalismi, e purtroppo il marchio Lancia è stato erroneamente abbandonato al proprio destino da almeno vent’anni, senza essere usato per commercializzare auto di successo e di carattere o per competere in ambito sportivo.
Fino ai primissimi Anni ‘90 il nome Lancia faceva ancora furore nel mondo dei Rally con la “Delta” nelle varie versioni HF, Integrale ed EVO, e nell’alto di classe con un’ammiraglia come la “Thema”, che al suo apparire, nell’ormai lontano 1984, era addirittura la seconda auto più desiderata dagli italiani dopo la Ferrari. Viene da chiedersi come sia stato possibile che un marchio del genere, che ancor oggi detiene il record di vittorie nei Rally e per numero di brevetti tecnici registrati, sia oggi sul viale del tramonto.
Lancia ha sempre avuto un forte legame con FIAT. Vincenzo Lancia, il fondatore, era stato collaudatore e quindi pilota di macchine FIAT. Era un uomo corpulento, energico e generoso: quando, nel 1906, aveva fondato la sua Casa automobilistica, lo stabilimento aveva la porta d’ingresso troppo stretta per far uscire la sua prima automobile prodotta. Lui non aveva sentito storie: aveva preso una mazza ed aveva allargato la porta abbattendo pezzi di muro, di persona. Così la Lancia modello “Alfa” (molte Lancia di successo si sarebbero affidate, per farsi chiamare, a lettere dell’alfabeto greco, a nomi latini e così via) aveva potuto compiere il suo acclamato ingresso in società: era un’auto signorile, ben rifinita, con soluzioni tecniche all’ultimo grido.
Negli anni seguenti Lancia si sarebbe resa celebre con la “Lambda”, una macchina che introduceva per la prima volta nella storia dell’automobilismo la cosiddetta “scocca portante” (la carrozzeria che avvolgeva tutti gli organi meccanici ed il telaio, anziché essere semplicemente imbullonata a quest’ultimo), oltre al motore a quattro cilindri a V stretto prodotto in serie, e così via. Iniziava la fortunata stagione delle Lancia intese come auto innovatrici, che ad ogni nuovo modello introducevano nuovi brevetti capaci di spiazzare la concorrenza italiana, francese, inglese, tedesca ed americana.
Anche la Mafia italo-americana s’interessò alla Lancia: negli Anni ‘20 i boss newyorkesi contattarono il mite (e sprovveduto) Vincenzo Lancia proponendogli la costruzione delle sue automobili anche in America. Dopotutto quest’ultime andavano così bene anche negli Stati Uniti… Vincenzo inizialmente ci credette, poi, una volta giunto in America, si rese conto del pericolo e tornò di corsa in Italia, imbarcandosi sul primo piroscafo che trovò a disposizione. Nel frattempo, però, aveva ideato un modello apposta per i suoi loschi committenti, così come per il lussuoso mercato americano antecedente al 1929: la “Dilambda”.
“Ardea” ed “Aprilia” furono due modelli a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, fra Fascismo e Repubblica, con cui Lancia cercò di soddisfare le esigenze di un mercato che voleva congiungere l’eleganza e lo stile con le prestazioni e l’economia d’esercizio. Poi, nel Secondo Dopoguerra, fu il turno del figlio, che credette soprattutto nelle corse svenando la Casa in una costosa attività sportiva che alla fine la consegnò, ormai economicamente dissestata, nelle mani della famiglia Pesenti, quella del cemento. Nel frattempo, però, Lancia aveva ribadito il proprio “pedigree” tecnologico ed innovativo con modelli come la “Aurelia”, la prima auto di lusso ad introdurre il motore a sei cilindri a V di serie e la trazione posteriore con lo schema “transaxle”, e la Appia, lussuosissima berlina di categoria media, con motore 1100 cc a 4 cilindri a V stretto e trazione posteriore che si collocava esattamente a metà strada fra la più convenzionale FIAT 1100 e la più sportiveggiante Alfa Romeo “Giulietta” 1300. Con la gestione successiva la “Appia” trovò un’erede nella fortunatissima “Fulvia”, che ne ereditava il motore ma che introduceva per la prima volta in Italia la formula della trazione anteriore, e la “Flavia”, anch’essa a trazione anteriore e dotata di un ottimo motore boxer a quattro cilindri di 1500 cc: la regina delle autovetture di classe medio-alta in Italia, una spanna al di sopra della FIAT 1500 e a cui solo l’altrettanto blasonata Alfa Romeo “Giulia” era in grado di dar fastidio. La “Flavia” fu anche la prima auto italiana a disporre dell’iniezione, seppur ancora meccanica, ed il suo pregiato motore si sarebbe evoluto verso i 1800 e i 2000 cc fino all’erede degli Anni ‘70, la Lancia 2000 che molti considerano essere l’ultima vera Lancia prima dell’arrivo della FIAT. Anche la pregiatissima “Aurelia” aveva trovato una sua degna erede nella grande e lussuosa “Flaminia”, una limousine di 2500 cc con motore a sei cilindri a V, poi evolutosi anche in 2800 cc, che tuttora è l’auto del Presidente della Repubblica nelle occasioni speciali.
Quando la FIAT nel 1968 acquistò la Lancia dalla famiglia Pesenti, la situazione per la Casa di Chivasso era a dir poco distrutto. A detta dei tecnici FIAT non vi era un solo progetto nel cassetto, mentre le “Fulvia”, le “Flavia” e le “Flaminia” apparivano ormai troppo invecchiate. Fu così concepita, dall’oggi al domani, la “Beta”, che debuttò nel 1972 sostituendo “Fulvia” e “Flavia” e che per la prima volta nella storia della Lancia introdusse la meccanica FIAT, per la precisione gli ottimi bialbero “Lampredi”. La “Beta”, con la sua linea a due volumi, molto di moda in quegli anni, era davvero una novità per la Lancia, e fu la prima auto della Casa di Chivasso a venir importata anche in America dopo decenni. Fu un grande successo e rimase sulla breccia almeno fino al 1984, quando, insieme alla versione a tre volumi “Trevi” (ricordata soprattutto per l’originale cruscotto soprannominato “gruviera” e disegnato da un celebre architetto milanese) venne rimpiazzata dall’indimenticata “Thema”. La “Beta”, tuttavia, aveva fatto in tempo a farsi distinguere nei Rally, dando vita anche a fortunatissime versioni derivate come la “037” e la “Montecarlo” che avevano dominato le piste insieme alla “Stratos” motorizzata Ferrari, almeno finché non arrivò nel 1979 la più piccola e leggera “Delta”. Quest’ultima avrebbe fatto furore nei Rally degli Anni ‘80 vincendo tutto il possibile, e dominato il mercato insieme alla più grande e signorile “Thema” fino ai primi Anni ‘90.
Dopodichè, fu il nulla: la nuova “Delta” del 1992 non riuscì neanche minimamente a ripetere il successo della vecchia versione, anche perché nel frattempo la Casa era stata ritirata dalle corse, importanti veicolo pubblicitario. La “K”, ugualmente, scomparì nell’anonimato senza riuscire ad eguagliare il grande e lusinghiero riscontro della “Thema”, e men che meno vi riuscì la “Thesis” che invece, secondo i pronostici, avrebbe dovuto far furore. La “Lybra” prima e la “Nuova Delta” poi, malgrado le vendite inizialmente promettenti, ebbero lo stesso infausto esito.
Così s’è avviata verso la scomparsa una celebre Casa automobilistica, uno dei marchi che più ha contribuito nella sua lunga e prestigiosa storia a definire l’automobile di oggi e anche di domani.
Di Filippo Bovo - 16 dicembre 2016
:OK) http://www.opinione-pubblica.com/lancia ... i-sordina/ :OK)