Lo Zen il buddhismo ed il Taoismo

M3pH|st0

Nuovo Alfista
28 Febbraio 2006
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www.ayurbody.it
alcune delle leggende dei grandi maestri orientali!


Matajuro Yagyu era il figlio di un famoso spadaccino. Suo padre, convinto che l’attitudine del figlio fosse troppo scarsa per fargli raggiungere la maestria, lo disconobbe. Così Matajuro andò sul Monte Futara e là trovò il famoso spadaccino Banzo. Ma Banzo confermò il giudizio del padre. «Tu vuoi imparare a maneggiare la spada sotto la mia guida?» domandò Banzo. «Ti mancano i requisiti indispensabili ».
«Ma se lavoro sodo, quanti anni mi ci vorranno per diventare un maestro?» insistette il giovane.
«Il resto della tua vita» rispose Banzo. «Non posso aspettare tanto» disse Matajuro. «Se accetti di darmi lezione, sono pronto a sottopormi a qualunque fatica. Se divento il tuo devotissimo servo, quanto tempo ci vorrà? ».
«Oh, dieci anni, forse» disse Banzo addolcendosi.
«Mio padre si sta facendo vecchio e presto dovrò prendermi cura di lui» continuò Matajuro. « Se lavoro ancora più assiduamente, quanto tempo mi ci vorrà?».
«Oh, forse trent’anni» rispose Banzo.
«Ma come!» disse Matajuro. «Prima hai detto dieci anni, e ora trenta! Accetterò qualunque privazione pur di imparare quest’arte nel tempo più breve!».
«Be’,» disse Banzo «allora dovrai restare con me settant’anni. Un uomo che ha tanta fretta di ottenere dei risultati raramente impara alla svelta».
«E va bene» dichiarò il giovane, comprendendo infine che si gli stava rimproverando la sua impazienza. «Accetto».
Matajuro ebbe l’ordine di non parlare mai di scherma e di non toccare mai una spada. Cucinava per il suo maestro, lavava i piatti, gli rifaceva il letto, puliva il cortile, curava il giardino, tutto senza che si parlasse mai di scherma.
Passarono tre anni. Matajuro continuava a lavorare. Pensando al proprio avvenire era triste. Non aveva ancora cominciato a imparare l’arte alla quale aveva votato la propria vita.
Ma un giorno Banzo scivolò alle sue spalle e gli diede un colpo terribile con una spada di legno.
L’indomani, mentre Matajuro stava cucinando del riso, Banzo tutt’a un tratto gli saltò di nuovo addosso.
Da allora, giorno e notte, Matajuro dovette difendersi dagli assalti inaspettati. Non c’era giorno, non c’era momento che non dovesse pensare al sapore della spada di Banzo.
Imparò così in fretta che la faccia del suo maestro era raggiante di sorrisi. Matajuro divenne il più grande spadaccino del paese.

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku.
Volendo mostrare la sua preparazione, disse:
«La mente, Buddha e gli esseri senzienti, in fondo, non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto. Non c’è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun saggio, nessuna mediocrità. Non c’è nessuno che dia e niente che si riceva».
Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt’a un tratto colpì Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane.
«Se niente esiste,» domandò Dokuon «da dove viene questa tua collera?».

Un Uomo che camminava in un campo si imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lascio penzolare oltre l'orlo. La tigre lo fiutava dall'alto. Tremando l'uomo guardò giù, dove, in fondo l'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola.
Com'era dolce !

Siut-tze domandò a un saggio: “Confucio parlava spesso dell'acqua, lodandola. Perché mai faceva questo?” Il saggio rispose: “Vi è l'acqua che zampilla dalla sorgente, sgorga senza riposo giorno e notte, riempie ogni cavità, scorre, si getta nei quattro mari. Questa è l’acqua di sorgente e questa riceveva lode da Confucio. Ma vi è anche l’acqua che non viene dalla sorgente. Nei due mesi delle piogge riempie canali e rigagnoli, poi, in breve tempo, si asciuga. In egual modo l’uomo superiore si vergogna di una fama che supera i suoi meriti”.

Il maestro di Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita.
Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta.
La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l'uomo, ma quando non ne poté più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato Hakuin.
I genitori furibondi andarono dal maestro. "Ah sì? " disse lui come tutta risposta.
Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo.
Dopo un anno la ragazza madre non resistette più. Disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.
La madre e il padre della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino.
Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: "Ah sì?".



Hotei visse al tempo della dinastia T'ang. Non aveva alcun desiderio di definirsi maestro di Zen né di radunare molti discepoli intorno a sé.
Invece girava per le strade con un grosso sacco di tela pieno di canditi, frutta e frittelle dolci da dare in regalo. E li distribuiva ai bambini che si raccoglievano intorno a lui per giocare. Aveva istituito un giardino d'infanzia della strada.
Ogni volta che incontrava un devoto di Zen gli tendeva la mano dicendo: «Dammi un centesimo, uno solo». E se qualcuno lo pregava di tornare in un tempio e di insegnare, lui ripeteva: «Dammi un centesimo».
Una volta, mentre era intento al suo lavoro-gioco, passò un altro maestro di Zen e gli domandò: «Qual'è il significato dello Zen?». Per tutta risposta , Hotei posò immediatamente il sacco a terra.
«Allora,» domandò l'altro «qual'è l'attuazione dello Zen?». Subito il Cinese Felice si rimise il sacco in spalla e continuò per la sua strada.
 
M3pH|st0":1uchu1q9 ha detto:
Hotei visse al tempo della dinastia T'ang. Non aveva alcun desiderio di definirsi maestro di Zen né di radunare molti discepoli intorno a sé.
Invece girava per le strade con un grosso sacco di tela pieno di canditi, frutta e frittelle dolci da dare in regalo. E li distribuiva ai bambini che si raccoglievano intorno a lui per giocare. Aveva istituito un giardino d'infanzia della strada.
Ogni volta che incontrava un devoto di Zen gli tendeva la mano dicendo: «Dammi un centesimo, uno solo». E se qualcuno lo pregava di tornare in un tempio e di insegnare, lui ripeteva: «Dammi un centesimo».
Una volta, mentre era intento al suo lavoro-gioco, passò un altro maestro di Zen e gli domandò: «Qual'è il significato dello Zen?». Per tutta risposta , Hotei posò immediatamente il sacco a terra.
«Allora,» domandò l'altro «qual'è l'attuazione dello Zen?». Subito il Cinese Felice si rimise il sacco in spalla e continuò per la sua strada.
belle le altre, ma questa non l'ho capita :confusbig)
 
osna":3hj6zti1 ha detto:
M3pH|st0":3hj6zti1 ha detto:
Hotei visse al tempo della dinastia T'ang. Non aveva alcun desiderio di definirsi maestro di Zen né di radunare molti discepoli intorno a sé.
Invece girava per le strade con un grosso sacco di tela pieno di canditi, frutta e frittelle dolci da dare in regalo. E li distribuiva ai bambini che si raccoglievano intorno a lui per giocare. Aveva istituito un giardino d'infanzia della strada.
Ogni volta che incontrava un devoto di Zen gli tendeva la mano dicendo: «Dammi un centesimo, uno solo». E se qualcuno lo pregava di tornare in un tempio e di insegnare, lui ripeteva: «Dammi un centesimo».
Una volta, mentre era intento al suo lavoro-gioco, passò un altro maestro di Zen e gli domandò: «Qual'è il significato dello Zen?». Per tutta risposta , Hotei posò immediatamente il sacco a terra.
«Allora,» domandò l'altro «qual'è l'attuazione dello Zen?». Subito il Cinese Felice si rimise il sacco in spalla e continuò per la sua strada.
belle le altre, ma questa non l'ho capita :confusbig)

Hotei mise in dubbio la struttura dell'insegnamento Zen, in quanto progressivamente irrigidita dalle strutture maestro-discepolo o, peggio, illuminato-ignorante.
Dando la precedenza ai bambini e alla loro innocenza, Hotei dimostra che la pratica Zen non significa un approcio scarno o sciamanico della vita bensì un godimento innocente e al limite inconsapevole dei piaceri come nel divertimento infantile.
cercare "Il significato" dello Zen significa, per lui, un immobilismo. La pratica dello Zen, invece, è un respirare a pieni polmoni la vita e le belle cose che ci offre.
Un pò come uno che invece di godersi un cielo stellato, si ferma a guardare una lampadina accesa in lontananza.

Chiaro che questo approcio non ha mai avuto un gran che di successo, sopratutto in tempi severamente marzali.

Tutti amano il Circo ma pochi vogliono affrontare i leoni.
 
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